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Deportazioni mascherate da programmi umanitari: contestata la legittimità dei programmi VHR in Libia

Di Anna Nardone

Possono i rimpatri, in un contesto come quello libico, definirsi effettivamente “volontari”? La risposta è no secondo un gruppo di associazioni che, lo scorso 18 novembre, ha presentato al TAR del Lazio un ricorso che pone importanti interrogativi sull’utilizzo dei fondi pubblici nel contesto dei progetti internazionali per la gestione dei flussi migratori. 

Al centro della controversia vi è un finanziamento erogato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per il progetto “Multi-sectoral support for vulnerable migrants in Libya”. Il progetto, della durata di 24 mesi, è realizzato da OIM attraverso le risorse previste dal Fondo Migrazioni, uno strumento istituito dal MAECI con l’obiettivo dichiarato di gestire il fenomeno migratorio e contrastare l’immigrazione cosiddetta irregolare e il traffico di esseri umani. 

Come nel caso dell’investimento progressivo previsto dal precedente progetto “Multi-sectoral support for vulnerable mobile populations and communities in Libya”, tra gli outcome elencati nel progetto oggetto del ricorso vi è il “rimpatrio volontario umanitario” (VHR) di 820 migranti vulnerabili dalla Libia verso il loro paese di origine, con attività di assistenza al reinserimento del valore complessivo di 970 mila euro. 

L’illegittimità dei programmi VHR

Nella documentazione del progetto OIM, il “ritorno e reintegro umanitario volontario”  (VHR-R) viene descritto come un programma che “fornisce assistenza essenziale a migranti in situazioni precarie, come coloro che affrontano sfruttamento, abusi o difficoltà estreme”. Questo tipo di programma viene presentato come un intervento “umanitario”, che mira ad offrire diversi servizi, tra cui assistenza per un ritorno sicuro e dignitoso, supporto medico e la reintegrazione socio-economica dei rimpatriati nei loro paesi d’origine. 

In realtà, la natura dei programmi VHR è molto più controversa di così. Come già sottolineato in passato, questo approccio ha il reale obiettivo di creare le condizioni per un rimpatrio accettabile dalla Libia, trasformando di fatto queste iniziative in politiche per bloccare i flussi migratori verso l’Europa. Infatti, secondo la stessa documentazione OIM, “il 43% dei beneficiari del VHR nel 2023 si trovava in detenzione al momento dell’identificazione e del supporto, mentre circa il 7% erano vittime di tratta”. Da ciò si evince che, per scappare da condizioni di detenzione arbitraria, tortura, maltrattamenti, violenze sessuali, estorsioni e altre violazioni dei diritti umani, molti migranti sono di fatto costretti ad accettare il rimpatrio, non avendo la possibilità di ricorrere a sistemi di protezione sicuri e regolari. A tal proposito, è importante sottolineare che in Libia non esiste un sistema di protezione adeguato: non predisponendo di una legge sull’asilo, l’unica via percorribile è presentare la richiesta di protezione all’UNHCR, la quale sembra essere riservata solamente ad alcune nazionalità e non garantisce quindi nessuna effettiva tutela. 

Secondo le associazioni ricorrenti, non solo il MAECI non ha valutato adeguatamente i rischi e le condizioni dei migranti in Libia e nei Paesi di origine, ma ha apertamente ignorato le raccomandazioni e i dati allarmanti che emergono dai rapporti relativi ai finanziamenti precedenti. Tutto ciò unito ad un’allarmante mancanza di trasparenza: il MAECI, infatti, non ha fornito informazioni riguardanti i centri di detenzione in Libia in cui sono stati realizzati i progetti, oscurando tale dato nelle proprie documentazioni. 

Il legame con i ricorsi precedenti: una battaglia legale continua per la società civile

Nel gennaio 2020, ASGI, insieme a Spazi Circolari, aveva già presentato un ricorso al TAR del Lazio contro lo stanziamento di 2 milioni di euro a favore di OIM per il progetto “Comprehensive and Multi-sectoral Action Plan in Response to the Migration Crisis in Libya”. Il finanziamento, stanziato attraverso il Fondo Africa, mirava a supportare il rimpatrio volontario e la reintegrazione dei migranti vulnerabili in Libia, nonché a fornire informazioni e assistenza ai migranti in transito. Già allora si era messa in dubbio la volontarietà dei rimpatri attuati attraverso i fondi per la cooperazione, nonché l’aspetto di per sé generico del progetto, che non forniva informazioni dettagliate sulle modalità di attuazione, il monitoraggio e le garanzie per i beneficiari.

A tal proposito, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva invitato espressamente gli Stati Europei a non finanziare tali progetti in Libia. In particolare, nel rapporto “Nowhere but back: Assisted return, reintegration and the human rights protection of migrants in Libya”, era stato sottolineato come le condizioni in Libia impedissero un consenso libero e informato al ritorno al proprio Paese di origine, contravvenendo di fatto al principio di non-refoulement

Parallelamente, programmi di assistenza al rimpatrio volontario e reintegrazione erano stati implementati da OIM anche in Tunisia attraverso il progetto “Enhancing response mechanisms and assistance of vulnerable migrants in Tunisia”. Con un investimento progressivo che ha portato ad un finanziamento totale di 6,15 milioni ad OIM, tra marzo 2022 e agosto 2023 sono state rimpatriate dalla Tunisia circa 1.350 persone. ASGI, sempre insieme a Spazi Circolari, aveva presentato ricorso al TAR del Lazio sottolineando come il contesto tunisino fosse diventato progressivamente sempre più pericoloso per le persone in transito, che sono costantemente soggette a violenze e abusi da parte delle autorità tunisine. In particolare, secondo diverse fonti, la Guardia nazionale tunisina, la polizia e le forze dell’esercito sono coinvolti in violenze sistemiche, inclusi casi di violenza sessuale e di genere sulla popolazione migrante di origine subsahariana, impedendo alle persone di lasciare il Paese in sicurezza. Per questo motivo, i rimpatri in Tunisia, come quelli in Libia, non possono essere definiti volontari.

Esternalizzazione delle frontiere ed espulsioni mascherate

Mentre la Commissione Europea ha annunciato l’arrivo di una proposta per un “nuovo approccio comune sui rimpatri” il prossimo 11 marzo, rimangono molti interrogativi e zone d’ombra sulla natura stessa di questi finanziamenti. 

Il ricorso delle associazioni italiane al TAR del Lazio si inserisce infatti all’interno di un quadro di politiche di esternalizzazione delle frontiere finanziate attraverso i fondi italiani che dovrebbero essere destinati alla cooperazione allo sviluppo e alla tutela dei soggetti più vulnerabili. Al contrario, con il finanziamento di questa misura, lo stato italiano non solo contravviene al principio di non-refoulement, ma anche agli obblighi di protezione previsti dalle convenzioni internazionali in materia di contrasto alla violenza di genere e alla tratta.

Per questi motivi, le sette organizzazioni ricorrenti chiedono che venga immediatamente bloccato l’uso dei fondi italiani sul rimpatrio operato dall’OIM e che venga dichiarato illegittimo il finanziamento. 

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