Di Anna Nardone
Il 21 ottobre 2024, la Mediatrice Europea Emily O’Reilly ha reso noti i risultati di un’indagine indipendente con riferimento al protocollo d’intesa UE-Tunisia, firmato il 16 luglio 2023 dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dalla prima ministra italiana, Giorgia Meloni, dal premier olandese, Mark Rutte, e dal presidente tunisino, Kaïs Saïed.
Dal rapporto dell’Ombudsman emergono controversie relative alla natura stessa del protocollo d’intesa, sottolineando la mancanza di una valutazione d’impatto sui diritti umani (HRIA) precedente alla sua firma. Queste criticità sono emerse in particolare rispetto al pilastro “Migrazione e Mobilità”, su cui l’UE si è impegnata ad allocare circa 105 milioni di euro. Poiché con questo pilastro ci si pone l’obiettivo di limitare le migrazioni cosiddette irregolari verso i Paesi UE, la Commissione Europea ha finanziato il rafforzamento del controllo dei confini da parte delle autorità tunisine, con il rischio di serie ripercussioni sulle persone migranti.
Dal canto suo, la Commissione ha affermato di non essere tenuta ad effettuare una valutazione preliminare d’impatto sui diritti umani, in quanto trattandosi di protocollo d’intesa esso costituisce un accordo politico vincolante. Affermazioni contestate dalla Mediatrice, che ha che ha valutato come inadeguato il piano di gestione del rischio per la Tunisia completato dalla Commissione prima del Memorandum in quanto “non conteneva disposizioni sulle garanzie in materia di diritti umani, come l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio o disposizioni relative alla sospensione o alla cessazione dei finanziamenti in caso di violazioni.”

A ciò si aggiunge una generale mancanza di trasparenza: i risultati delle fasi di monitoraggio, ad appannaggio di attori esterni come IOM e UNHCR, vengono presentati periodicamente sotto forma di documenti che non sono pubblici e molto spesso inaccessibili. Secondo la Mediatrice, tale mancanza di trasparenza rende impossibile avere un quadro chiaro dell’impatto sui diritti umani di ciascun progetto. Ma, ancora più grave, questi meccanismi di monitoraggio non includono le voci delle persone direttamente colpite: ciò rende di fatto impraticabile un’eventuale segnalazione degli abusi subiti dai migranti nel contesto di programmi finanziati dall’Unione Europea.
Le evidenze sulle violazioni dei diritti umani in Tunisia
A dispetto dell’evidente mancanza di trasparenza da parte della Commissione, secondo alcuni documenti trapelati della Delegazione UE a Tunisi, solo il 5% dei promessi 105 milioni sono stati destinati alla protezione dei rifugiati e dei migranti in Tunisia. Il 62% dei fondi è stato allocato alla polizia, alle missioni di ricerca e soccorso (SAR), e al materiale di gestione delle frontiere, mentre il 17% restante è stato destinato a ritorni e riammissioni.
Questi dati evidenziano lo sforzo dell’UE e dei suoi Paesi membri nel rafforzamento degli apparati di controllo e repressione delle autorità tunisine in chiave di contenimento dei flussi migratori in partenza dal Paese Nord Africano. Ad esempio, nel dicembre 2023, il Ministero dell’Interno italiano ha destinato 4.800.000 euro per il ripristino e il trasferimento di sei motovedette alla Guarde Nationale (G.N.) della Tunisia. A tal proposito, un gruppo di associazioni ha presentato ricorso davanti al tribunale amministrativo, ritenendo che il sostegno alla G.N. tunisina amplificasse il rischio di violazioni dei diritti delle persone migranti per mano delle autorità tunisine e chiedendo la sospensione del trasferimento delle motovedette. L’istanza cautelare è stata rigettata dal Consiglio di Stato il 4 luglio scorso, mentre l’udienza in merito ha avuto luogo lo scorso 21 novembre. Il Consiglio di Stato ha sostenuto, tra le diverse tesi, che la sicurezza del paese tunisino fosse dedotta dall’inserimento della Tunisia nella lista dei “paesi di origine sicuri”.
A dispetto di questa affermazione, sono sempre più frequenti gli episodi di violenze e soprusi commessi dalle autorità tunisine nei confronti della popolazione migrante di origine subsahariana. Secondo Human Rights Watch, i casi di violenza fisica, alimentati da una feroce retorica razzista, sono all’ordine del giorno sia via mare che via terra. A ciò si aggiungono episodi di tortura, arresti arbitrari e detenzione, deportazioni di massa, nonché la confisca di denaro e oggetti personali da parte della polizia e dei militari tunisini. Inoltre, testimonianze recenti hanno sottolineato come le stesse autorità tunisine finanziate da fondi europei siano responsabili di ripetuti casi di violenza sessuale e di genere sulle donne migranti. Il tutto, ovviamente, si verifica nella più cieca impunità.
Le richieste di trasparenza e accountability
Nelle conclusioni finali del suo report, la Mediatrice europea ha esortato la Commissione a pubblicare sul suo sito web una sintesi del piano di gestione dei rischi messo in atto prima della firma del Memorandum, esattamente come i documenti relativi al monitoraggio sui diritti umani da parte degli attori terzi competenti. Ha raccomandato inoltre che questi documenti vengano resi pubblici e aggiornati periodicamente.
Infine, alla Commissione è stato espressamente chiesto di mettere in atto dei meccanismi di reclamo attraverso cui le persone possano denunciare eventuali violazioni e abusi subiti nel contesto di progetti finanziati dall’UE in Tunisia. In tal senso, la Commissione è stata anche chiamata a delineare dei criteri chiari per la sospensione di questi progetti qualora emergessero evidenze di violazioni di diritti umani. In risposta, la Commissione ha preso atto delle raccomandazioni della Mediatrice, sottolineando l’importanza della trasparenza e dell’accountability nel loro lavoro. Alla luce delle raccomandazioni fatte, alla Commissione è stato richiesto di informare l’Ombudsman entro Gennaio 2025 rispetto alle azioni intraprese, in particolare laddove possono incorrere rischi per i diritti umani delle persone.