Di Lorenzo Figoni
«La collaborazione che stiamo sollecitando ai paesi di partenza delle migrazioni irregolari ha fatto sì che sia stata impedita la partenza di più di 60mila migranti dalle coste della Libia e della Tunisia. Rispettivamente più di 50mila dalla Tunisia e oltre 13mila dalla Libia. Sono paesi dai quali, peraltro, con il sostegno delle organizzazioni internazionali stiamo attuando un articolato e progressivo programma di effettuazione di rimpatri volontari assistiti. Sono già oltre 9mila i migranti che negli ultimi sei mesi hanno beneficiato di questo meccanismo che, ripeto, facciamo con le organizzazioni internazionali. Una strategia a trecentosessanta gradi che quest’anno ha portato a una riduzione degli sbarchi di oltre il 62% rispetto al 2023».
Così il 15 agosto, durante la presentazione del dossier del viminale, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha fornito una panoramica sul calo degli sbarchi verificatosi a partire dal 2024. Nonostante rimanga difficile capire come sia possibile misurare con tale precisione il dato “partenze impedite”, le modalità con cui il ministero avrebbe raggiunto questo obiettivo del – 62% sono chiare. Il ministro parla di una «articolata strategia» che accanto al «tradizionale supporto per rafforzare le capacità delle strutture operative di questi paesi per il controllo delle frontiere marittime e terrestri» comporterebbe rilevanti investimenti e l’aiuto delle organizzazioni internazionali. Proprio su questo punto Piantedosi si sofferma per ben due volte – in relazione ai programmi di rimpatrio volontario assistito – quasi a voler sottolineare ai media come la presenza delle organizzazioni internazionali abbia l’effetto di legittimare anche questa “articolata strategia” rivestendola con i colori dell’umanitario. Un ragionamento reso ben chiaro dal sottosegretario all’interno Nicola Molteni il quale, in un’intervista a La Stampa in cui gli viene chiesto un commento sulla collaborazione con paesi terzi segnati da violenze e soprusi nei confronti delle persone migranti, risponde che “la politica migratoria del nostro governo avviene in un quadro di politiche internazionali con il controllo di organizzazioni come Unhcr e Oim. I diritti umani sono quindi garantiti”.
Uno dei passaggi fondamentali che mancano nella ricostruzione della diminuzione degli sbarchi ad opera del viminale rimane però nel deserto tra Libia e Tunisia, dove dal 2023 le persone migranti vengono deportate e abbandonate senza acqua né cibo, in attesa di essere recuperate dalle autorità libiche. Solamente pochi mesi fa, nel mese di maggio, la società civile tunisina ha denunciato la deportazione di 400 persone migranti e richiedenti asilo, dopo rastrellamenti avvenuti nei campi allestiti a Tunisi davanti alle sedi di Unhcr e Oim. Il governo italiano, nonostante si guardi bene dal farne menzione, è ben al corrente di quanto sta accadendo, tanto da liquidare all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) un milione di euro per la gestione umanitaria della «situazione al confine Libia/Tunisia». Un progetto che, a partire dal novembre 2023 fino al 31 ottobre 2024, vede l’organizzazione delle Nazioni Unite occuparsi di fornire assistenza alle persone deportate, capacity building per le autorità coinvolte nella gestione della situazione, oltre che il “miglioramento” di due non meglio specificate «strutture del Ministero dell’Interno». I documenti di progetto, ottenuti da ActionAid nell’ambito dell’osservatorio The big wall, sono stati in larga parte oscurati da Oim, la quale sostituisce con “omissis” anche le parole “Libia” e “Tunisia”. Anche nel titolo, nonostante questo sia presente in chiaro nel decreto di liquidazione fornito dal Maeci.
Nella descrizione Oim riporta i violenti attacchi subiti dalla comunità subsahariana in Tunisia a seguito delle frasi razziste del presidente Saied, evidenziando come da allora si siano verificate «una serie di deportazioni da [omissis] verso il [omissis] da parte del [omissis] con gravi violazioni dei diritti umani commesse da entrambi i lati del confine. […] Molti dei migranti che viaggiano da [omissis] attraverso [omissis] riferiscono di aver subito violenze sessuali, fisiche, rapine o rapimenti». A seguito delle deportazioni – continuano i progettisti di Oim nell’analisi di contesto – alcune persone sono state prelevate e sistemate in «strutture sovraffollate e successivamente trasferite in centri di detenzione, dove le condizioni sono disastrose».
Alla cosiddetta “situazione al confine Libia/Tunisia” il governo italiano, attraverso Oim, risponde quindi con attività volte a migliorare il coordinamento delle autorità delle operazioni di risposta alla situazione di emergenza al confine, coordinando a sua volta «la distribuzione di materiale di prima necessità e kit igienici […] (anche attraverso il partner [omissis] ([omissis]) che era l’unica organizzazione ad avere accesso ai migranti bloccati e alle persone bisognose di protezione internazionale nell’area di [omissis] e stava rispondendo a nome di tutte le Nazioni Unite). L’Oim fornirà anche kit alimentari di emergenza e biscotti energetici ai migranti e alle persone bisognose di protezione internazionale dopo le operazioni di salvataggio nel deserto». Infine saranno forniti «kit di soccorso, tende, GPS e dispositivi di comunicazione radio (telefoni satellitari HF/VHF/Thuraya) a sostegno delle operazioni di [omissis] nelle aree desertiche». Ma soprattutto, saranno forniti DPI (Dispositivi di Protezione Individuale, n.d.r.) e sacchi per cadaveri «per supportare il recupero e il trasferimento rispettoso dei migranti che hanno perso la vita nell’area desertica».
Un altro milione di euro alle organizzazioni internazionali si aggiunge quindi per rendere più “digeribile” quanto accade tra Libia e Tunisia e per nascondere le conseguenze della delega dei respingimenti e del controllo dei confini. Una spesa trascurabile rispetto alle centinaia di milioni investiti fino ad ora per quel crollo delle partenze menzionato dal ministro. Il costo umano, invece, si alza sempre di più.