Risorse
programmate

€ 1.488.141.382,69

Spese
tracciate

€ 1.364.655.022,69

The Big Wall: la nuova piattaforma per il monitoraggio della spesa esterna in migrazione

Di Roberto Sensi, Lorenzo Figoni (ActionAid)

Un anno e mezzo fa lanciavamo la prima inchiesta sul ruolo dell’Italia nelle politiche di esternalizzazione delle frontiere a partire dalla cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015-2016.  Obiettivo del lavoro era quello di stimare quanto il nostro Paese si fosse impegnato a spendere negli ultimi anni per costruire il “grande muro” nelle sponde sud del Mediterraneo con l’obiettivo di contenere i flussi migratori provenienti in particolare dalla Libia e dalla Tunisia seguendo la rotta del Mediterraneo centrale. I risultati di questo lavoro misero in evidenza un impegno significativo sul fronte finanziario assunto dall’Italia, con il contributo fondamentale delle istituzioni europee; ma anche un notevole sforzo sul fronte diplomatico con l’obiettivo di convincere i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori a riprendersi il maggior numero di migranti attraverso i rimpatri e il rafforzamento delle capacità di controllo delle frontiere terrestri e marittime dei principali paesi di transito. Le conseguenze di tale impegno si sono viste maggiormente sul fronte del controllo delle frontiere, non a caso la principale attività finanziata nell’ambito dei programmi e progetti a sostegno delle politiche di esternalizzazione. Sul numero dei rimpatri, invece, gli sforzi profusi nell’ultimo decennio attraverso accordi di riammissione, prima formali e poi informali, e partnership migratorie ed economiche, non hanno determinato un loro significativo aumento. Nonostante ciò, come evidenziato anche dalla nuova strategia per le migrazioni adottata dalla Commissione europea nel settembre del 2020, il Nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo,  i rimpatri rimangono una priorità  dell’UE e degli stati membri, e gli  sforzi diplomatici vengono  fluidificati da  ingenti risorse economiche come mostra con chiarezza il caso de  Fondo premialità per le politiche di rimpatrio dell’Italia. Come abbiamo evidenziato nella prima inchiesta di The Big Wall, la crisi dei rifugiati del 2015-2016 ha rappresentato un significativo cambio di passo lungo una rotta già tracciata da precedenti politiche e strategie migratorie sviluppatesi a partire dai primi anni duemila.

Questo cambio di passo  è consistito,  da un lato, nell’adozione di una strategia di esternalizzazione che è diventata la cifra esclusiva delle politiche migratorie, di fatto eliminando qualsiasi spazio per una visione della migrazione positiva e regolata attraverso, ad esempio, i canali di ingresso regolari;  dall’altro, in una politica di asilo sempre più inefficace a cui si è affiancata una politica dei respingimenti per procura che ha visto, e questo è l’ultimo elemento, lo sforzo profuso nel rafforzamento delle capacità di controllo delle frontiere da parte dei principali paesi di transito, accompagnato da un intervento  sulle cosiddette cause economiche delle migrazioni attraverso ingenti risorse di cooperazione allo sviluppo.

Il finanziamento di questa politica migratoria è anch’esso un elemento di novità: mai  in passato l’UE e i suoi Paesi membri avevano destinato tante risorse al contrasto dell’immigrazione irregolare nell’ambito della cooperazione con i Paesi di origine e di transito. Risorse che, nel precedente ciclo budgettario dell’UE (2014-2020) erano state reperite intervenendo sulle diverse voci di bilancio, in particolare attraverso l’istituzione di  fondi ad hoc (come l’EUTF a livello europeo e il fondo Africa, poi rinominato Fondo migrazioni, a livello italiano). A partire dal 2021, con l’entrata in vigore del nuovo bilancio pluriennale europeo (2021-2027)  le risorse previste per gli interventi  sulle migrazioni (accoglienza e asilo, integrazione ed esternalizzazione) sono aumentate significativamente. Addirittura è stato previsto un capitolo dedicato (Heading IV – Migration and Borde Management) al quale sono stati assegnati risorse per oltre 20 miliardi di euro. A queste si devono aggiungere  circa 7 miliardi per l’azione esterna migratoria (NDICI). A questa nuova architettura finanziaria ha seguito l’adozione di una rinnovata strategia, il Nuovo Patto europeo per le Migrazioni, che si pone in totale continuità  con la precedente Agenda europea per le migrazioni, in realtà accentuando il carattere securitario  che caratterizza il sistema di governance europeo per le migrazioni come emerge chiaramente sia nella comunicazione che ha accompagnato il lancio della nuova strategia, sia nei i pacchetti  di proposte normative che la Commissione ha  avanzato, in particolare nel campo della politica di asilo, dei ritorni e dei rimpatri. Questi ultimi due settori sono stati storicamente difficili da negoziare con i Paesi di transito e di origine in ragione della ovvia riluttanza di questi ad assecondare gli interessi europei a discapito di quelli interni, che hanno a che vedere con motivazioni sia di carattere economico (rimesse) che politico (consenso interno).

Che cosa è The Big Wall e quali sono i suoi obiettivi

Negli anni, intercettare un fondo o un finanziamento destinato ai paesi terzi nell’ambito delle migrazioni è divenuto meno complesso; molto di più è invece monitorarne lo stanziamento e la relativa spesa effettiva, canalizzata attraverso sempre più numerosi enti attuatori con la contestuale moltiplicazione dei veicoli finanziari. Lo sforzo realizzato con TBW1 è stato quello di stimare gli impegni che nel corso degli anni il nostro Paese, con il contributo fondamentale dell’UE, ha annunciato di voler assumere in termini di spesa per l’azione esterna migratoria. Una stima che non rappresenta il reale esborso finanziario. Infatti, per la mancanza di trasparenza che caratterizza questa spesa è molto complesso monitorare quanto le risorse annunciate e programmate vengano effettivamente allocate e spese. Questo vale soprattutto per la spesa nell’ambito della gestione delle frontiere e dei rimpatri in ragione sia della complessità dei Paesi dove è realizzata (emblematico il caso della Libia); sia del fatto che si tratta di una spesa controversa, in parte destinata alle infrastrutture fisiche e umane per rafforzare la effettiva capacità di controllo degli enti preposti, in parte a soddisfare le richieste dei diversi e in certi casi molteplici attori chiave per la partita migratoria nel Paese a prescindere, o non in completa aderenza, agli obiettivi migratori che  dovrebbero in ogni modo giustificare questa spese. Per questi motivi, su diverse delle cifre intercettate, manca totalmente un riscontro sul fatto che siano state o meno effettivamente spese. In generale: mancanza di trasparenza (informazioni difficili da reperire, frammentate o molto spesso negate dalla stessa amministrazione pubblica), tempi lunghi di spesa, moltiplicazione dei soggetti coinvolti nell’implementazione, opacità dei meccanismi di gestione finanziaria e di bilancio, assenza di qualsiasi meccanismo di due diligence riguardo agli impatti – in particolare sui diritti umani – e ai risultati raggiunti, rappresentano un ostacolo enorme, in molti casi insormontabile, per il monitoraggio civico della spesa esterna in migrazione.

Breve storia della cooperazione tra UE, Italia e Libia in ambito migratorio

Con l’avvento del governo Renzi nel 2014, l’Italia decise di cooperare con l’Unione europea nell’ambito della politica migratoria per limitare gli arrivi dei migranti sulle proprie coste. Questa scelta si pose in rottura con la posizione del governo Letta la cui priorità era quella della ricerca e del soccorso. La sospensione dell’operazione italiana Mare Nostrum, il lancio dell’Agenda europea per le migrazioni  e l’adozione dell’approccio hotspot sono i passi fondamentali per l’istituzionalizzazione di questa nuova fase. Obiettivo era ritirare le navi di salvataggio dal Mediterraneo – considerate come un pull factor –  promuovere una sistematica raccolta delle impronte digitali per tutti i migranti in arrivo sulle coste europee e prevenire i movimenti secondari dall’Italia e la Grecia agli altri stati europei in cambio di ricollocamenti le cui cifre sono sempre state esigue.  I risultati si sono invece prodotti in termini di violazioni dei diritti umani, respingimenti illegittimi, violazione della legge del mare etc. Nel perseguire il contenimento dei flussi, l’Unione europea e i Paesi membri hanno negoziato con le autorità di un paese instabile, il cui territorio non hanno mai controllato totalmente, facendo credere che la sua guardia costiera fosse autonomamente in grado di gestire una zona di ricerca e salvataggio in mare (SAR) dichiarata in modo unilaterale nel 2018. Dopo la caduta di Gheddafi, le autorità italiane hanno dovuto negoziare un nuovo accordo di cooperazione con il Governo di Accordo nazionale di Al-Serraj, il noto Memorandum of Understanding (MoU): firmato nel 2017, rinnovato nel 2020 e in scadenza a novembre di quest’anno. Tuttavia, con la consapevolezza che il governo in carica non controllasse tutto il territorio, il nostro Paese ha poi stipulato accordi con differenti gruppi, milizie ed autorità locali con l’obiettivo di impedire la partenza dei migranti al costo di gravi violazioni dei diritti umani. Una delle azioni prioritarie portate avanti dall’UE e dall’Italia è stata quella di creare, finanziarie, formare ed equipaggiare la guardia costiera libica.  Essendo le navi europee non autorizzate a riportare i migranti in Libia in quanto  una sentenza della Corte europea per i Diritti umani del 2012 lo ha riconosciuto come Paese non sicuro, obiettivo europeo e italiano è stato quello di tenere i migranti in Libia ad ogni costo, rinchiudendoli nei famigerati campi di detenzione, formali e informali  (costruiti per volontà dell’Ue e dell’Italia) o intercettandoli nelle acque territoriali libiche e riportandoli indietro. Non avendo un governo in grado di controllare tutto il territorio, la Libia, non aveva né una Zona SAR (Search and Rescue), né una guardia costiera e funzionate un centro di coordinamento del Salvataggio marittimo (MRCC). La strategia prevedeva il ritiro dell’UE dal mare e il potenziamento e presa in carica della autorità libiche della propria zona SAR attraverso milioni di euro per garantirne il funzionamento e l’efficienza. Soldi europei e italiani gestiti prevalentemente da quest’ultima.

Le nuove inchieste di The Big Wall

Quest’anno abbiamo deciso di focalizzarci sui finanziamenti, italiani ed europei, per il controllo delle frontiere in Libia e Tusinia. Si tratta di due Paesi fondamentali per le partenze dei migranti verso l’Italia, ed emblematici dei limiti e delle difficoltà nel monitoraggio da parte della società civile della spesa esterna in migrazione. Attraverso un approccio “follow the money”, abbiamo cercato di mappare la spesa di due progetti particolarmente significativi nel contesto del rafforzamento delle capacità di controllo delle frontiere.

Per la Libia, abbiamo analizzato la spesa del progetto dell’EUTF “Support to Integrated border and migration management in Libya – First phase”,  approvato nel 2017 con l’obiettivo di contribuire a creare le capacità tecniche e infrastrutturali per un controllo effettivo da parte delle autorità libiche della propria zona SAR. Un progetto che ha visto il nostro Paese gestire una cospicua parte delle risorse complessive (32,5 milioni su 44,5 totali). Attraverso l’analisi dei bilanci, dei rendiconti finanziari delle diverse amministrazioni coinvolte, dei bandi e successive determine a contrarre e di aggiudicazione abbiamo cercato di capire se e quanto l’Italia abbia effettivamente speso e, soprattutto, per cosa e quali obiettivi sono stati raggiunti. Dei 32,5 milioni che in base ai documenti pubblici l’Italia avrebbe dovuto gestire, siamo stati in grado di tracciare stanziamenti per un totale di circa 20 milioni.

Per quanto riguarda la Tunisia, ci siamo concentrati sul progetto “Support to Tunisia’s border control and management of migration flows”, finanziato con risorse italiane provenienti dal Fondo premialità per le politiche di rimpatrio. Istituito con il decreto Sicurezza bis nel 2019, il fondo ha l’obiettivo di rafforzare la cooperazione con Paesi terzi nell’ambito delle riammissioni. Gestito dalla Direzione Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie (DGIT) del il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), dal 2019 ad oggi il fondo è stato finanziato per 53 milioni di euro, di cui abbiamo tracciato 28 milioni di spesa per sei progetti, cinque dei quali hanno come destinatario la Tunisia  a conferma dell’importanza strategica che gioca questo paese nelle strategie di rimpatrio italiane.  Le risorse complessivamente erogate alla Tunisia ammontano a 24 milioni di cui 19  destinati al controllo delle frontiere. Il progetto “Support to Tunisia’s border control and management of migration flows” vale 15 milioni di euro complessivi erogati in due fasi, una prima fase per un ammontare di 8 milioni nel 2020 e una seconda finanziata per ulteriori 7 milioni nel 2021. Le ragioni di questo ulteriore finanziamento sono, molto probabilmente, legate alle ulteriori richieste provenienti dal governo tunisino e alle stime dei costi delle commesse troppo bassi che hanno necessitato un aggiustamento in corso d’opera. Il progetto prevede la manutenzione e rimessa in efficienza di sei motovedette già in possesso della Guardia Nazionale tunisina, dipendente dal ministero dell’interno. Si tratta di 6 pattugliatori P350 donati dall’Italia alla Tunisia nel 2014 e ubicati nei porti delle città costiere di Zarzis, Sfax, Sousse, Bizerte e Rades. Grazie agli accessi civici generalizzati [LF1] TBW è riuscito ad ottenere una lista degli acquisti realizzati e da realizzare. Oltre alla manutenzione delle sei motovedette, la Tunisia ha chiesto un laboratorio mobile per eseguire test salivari del DNA (1 mobile forensic laboratory), cinque minibus per il trasporto del personale, 25 pick-up 4×4, 2 ambulanze, cinque veicoli specializzati per il trasporto di detenuti, 20 binocoli e 20 rilevatori di presenza umana. Strumenti, questi, che lasciano più di un dubbio sul loro eslusivo utilizzo in materia di controllo delle partenze.

Una piattaforma per la trasparenza: thebigwall.org

A partire dalla mappatura svolta lo scorso anno abbiamo deciso di realizzare un database online con lo scopo di contenere tutti i progetti mappati e le relative informazioni che siamo riusciti a raccogliere. Un database accessibile e consultabile da tutti e in costante aggiornamento con il proseguire della mappatura e degli approfondimenti sui singoli programmi. Thebigwall.org è anche un sito di approfondimento di queste tematiche dove è possibile scaricare report prodotti ad ActionAid, le nostre inchieste e le notizie rilevanti che via via verranno pubblicate. Infine, come accennato in introduzione, la mappatura della spesa è un esercizio estremamente complesso reso davvero difficile dalla mancanza di informazioni. Per questo motivo abbiamo deciso di procedere ad una differenziazione tra quelli che sono i programmi o le risorse che l’Italia, con l’Ue, hanno dichiarato di voler spendere e le risorse realmente implementate attraverso specifiche spese, assegnazioni e attività di progetto. Per questo motivo abbiamo deciso di distinguere risorse programmate (ad esempio contenute all’interno di documenti di programmazione annuali o biennali) e quelle effettivamente spese (ad esempio delibere di assegnazione di contributi, concessioni di appalti). Abbiamo deciso quindi di considerare come “risorse spese” solo quelle relative a progetti di cui siamo in possesso di documentazione che ne attesti l’effettivo impegno di esborso da parte della pubblica amministrazione. Il sito prevede un “contatore” che mostrerà questa cifra complessiva. L’esercizio, oltre che giustificato dalla necessità di una maggiore affidabilità in merito alle reali o realistiche spese dell’Italia per l’azione esterna migratoria, è anche un modo di spiegare la difficoltà della tracciatura della spesa soprattutto, come accennato, per il settore del controllo delle frontiere.

La mancanza di adeguata trasparenza

La mancanza di trasparenza costituisce, oltre che un’enorme criticità, una significativa difficoltà. Non esiste ancora, infatti, un database pubblico che raccolga, organizzi e renda accessibili tutte le informazioni relative ai programmi, progetti e finanziamenti a supporto dell’azione esterna italiana in materia di migrazione, la cui ricostruzione ha richiesto molti mesi di lavoro, la consultazione di molteplici fonti, tra le quali i documenti ufficiali ottenuti grazie alle numerose richieste di accesso (FOIA) effettuate da ActionAid in collaborazione con l’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione (ASGI) e Irpi Media, con riferimento soprattutto alle risorse previste dal Fondo Migrazioni e dal Fondo Premialità. Nonostante la tendenziale apertura alla condivisione di decreti di liquidazione, intese tecniche e documenti progettuali, diverse attività e attori istituzionali risultano oscurati, rendendo impossibile analizzare a fondo la natura del progetto. Anche il rispetto degli obblighi di pubblicazione da parte della pubblica amministrazione non sempre assicura il necessario livello di trasparenza. Le richieste di accesso FOIA diventano l’unico strumento per tentare di reperire informazioni, ma la direzione assunta dalla pubblica amministrazione è quella della compressione di questo diritto. Il Decreto ministeriale del Ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022 è infatti diretto proprio a limitare il diritto all’accesso civico generalizzato, escludendo, tra gli altri, tutta una serie di documenti legati proprio ad accordi intergovernativi di cooperazione, documenti relativi alla cooperazione con Frontex e tanti altri. Aldilà dell’utilizzo dei FOIA, delibere, provvedimenti e schede descrittive di ogni singolo progetto dovrebbero essere disponibili e consultabili on-line. I fondi canalizzati attraverso il Ministero dell’Interno riportano capitoli di spesa afferenti a diversi dipartimenti e direzioni, i cui dettagli sono solo parzialmente disponibili. La trasparenza rispetto all’attività dell’amministrazione pubblica si riduce spesso al minimo di trasparenza richiesta dalla legislazione, senza offrire dettagli sull’effettivo impiego delle risorse stanziate. Nell’ambito degli accordi di cooperazione con paesi africani per la gestione delle migrazioni e la riammissione, per esempio, è possibile ricostruire in modo parziale alcuni contenuti della spesa, tra cui attività realizzate e contratti stipulati, solo grazie alla Relazione Annuale sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica, presentata al Parlamento (oltre mille pagine), e sfogliando tra centinaia di avvisi di gara registrati sul sito della Polizia di Stato. Sono pochissime anche le informazioni disponibili sugli interventi di cooperazione allo sviluppo finanziati dal Ministero dell’Interno tramite bandi periodici e sui finanziamenti multilaterali per organizzazioni internazionali. Nel caso migliore, sono disponibili gli avvisi di selezione e i documenti di approvazione dei progetti presentati, sui cui contenuti non sono disponibili informazioni, affidando semplicemente all’ente attuatore un’eventuale decisione di mettere a disposizione maggiori dettagli.

Conclusioni

La spesa del nostro Paese a sostegno della strategia di esternalizzazione delle frontiere risulta difficile da monitorare sia dal punto di vista dell’accountability finanziaria, che di quello relativo ai suoi impatti in particolare sui Diritti Umani. Il Parlamento risulta completamente esautorato dalla sua funzione di controllo, sia sulla spesa che sul suo impatto. Seppur una parte delle risorse vengano stanziate a seguito di una passaggio parlamentare – Decreto missioni, Fondo Migrazioni, Fondo premialità per le politiche di rimpatrio, quest’ultimo dal 2022, ma anche le risorse assegnate all’AICS per quanto riguarda i progetti di cooperazione allo sviluppo indirizzati alle cause profonde – non segue mai una funzione di controllo. Solamente la missione bilaterale di cooperazione con la guardia costiera libica approvata nel quadro del Decreto missioni genere dibattito parlamentare, ma non è stato mai realizzato un efficace monitoraggio su come vengano spese  queste risorse. Stesso discorso vale per i negoziati bilaterali nell’ambito della cooperazione migratoria. L’informalizzazione di queste prassi, hanno di fatto esautorato il parlamento dalla sua funzione di ratifica.  Il problema è solamente in parte legato all’inerzia del Parlamento, ma riguarda anche l’enorme chiusura che mostrano da sempre il Governo e i suoi apparati nel fornire informazioni e permettere uno scrutinio democratico di questi programmi. Dal punto di vista degli impatti, non esistono analisi indipendenti che provino il raggiungimento degli obiettivi preposti. Men che meno, esistono sistemi di monitoraggio e di prevenzione sui rischi di violazione dei Diritti Umani commessi dalle istituzioni finanziate. Il contenzioso strategico appare al momento l’unico strumento in grado di aprire una minima breccia nel muro di segretezza e mancanza di trasparenza, seppur si scontri continuamente con i dinieghi che adducono a questioni di tutela della relazione con le organizzazioni internazionali o governi coinvolti. Recenti sentenze dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato in merito a ricorsi dell’ASGI, hanno mostrato dei passi in avanti, ma siamo ancora lontani dall’ottenere un cambiamento duraturo e diffuso nelle prassi della pubblica amministrazione.  L’impego di agenzie delle Nazioni Unite per l’implementazione di parte o tutto il progetto, come il caso UNOPS in Tunisia, appaiono come un tentativo di delegare la responsabilità di queste possibili violazioni al mancato monitoraggio esercitato dalle stesse, quando in realtà  la responsabilità politica, ma anche legale, ricade sui Paesi che finanziano governi corrotti, autoritari  per fare il cosiddetto lavoro sporco, ovvero  evitare che i migranti arrivino ai confini europei. Inoltre, in particolare sui progetti in Tunisia emerge un approccio del Paese nei confronti dell’Italia di tipo “lista della spesa”.  Risorse la cui spesa non sempre apparare coerente con gli obiettivi dichiarati, ma che finisce a rafforzare gli apparati di sicurezza e di repressione a dimostrazione della spregiudicatezza che guida l’azione esterna migratoria del nostro Paese e la sua componente finanziaria.

Le nostre raccomandazioni:

Rispetto alla spesa esterna in migrazione, che l’Italia riveda le sue politiche migratorie, abbandonando l’approccio securitario e investendo sulle vie di ingresso legale. Inoltre, chiediamo che il nostro Paese si doti di modalità che permettano la piena pubblicità delle risorse spese per l’azione esterna migratoria, garantendo l’accesso da parte del Parlamento e della società civile a tutte le informazioni inerenti ai progetti e agli accordi bilaterali in materia migratoria realizzati con i Paesi terzi. Chiediamo, inoltre, l’adozione di meccanismi di monitoraggio e valutazione della spesa esterna, con particolare riferimento all’impatto sui diritti umani e la possibilità per il Parlamento di esercitare un potere di revoca dei finanziamenti e per le  persone impattate negativamente dai progetti di poter accedere ad adeguate misure di riparazione.

Rispetto alla Libia, chiediamo al Parlamento e al Governo italiano di revocare qualsiasi sostegno alla Guardia Costiera Libica e alla Amministrazione Generale per la Sicurezza Costiera e di rafforzare un’azione ad effettiva tutela dei diritti umani dei migranti presenti nel Paese, ricorrendo in molto più consistente all’utilizzo di corridoi umanitari e canali di ingresso regolare. Chiediamo, inoltre, che l’Italia non rinnovi il Memorandum of Understanding con la Libia di prossima scadenza.

Rispetto al fondo premialità per le politiche di rimpatrio, le cui risorse provengono dai risparmi della spesa in accoglienza, chiediamo la sua eliminazione, in quanto si tratta di uno strumento con una chiara vocazione securitaria, impiegato quasi esclusivamente per il controllo delle frontiere dei Paesi di transito e informato da una logica di condizionalità in netto contrasto con i principi adottati a livello internazionale in materia di efficacia dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Chiediamo, inoltre, di abbandonare questa modalità di cooperazione che al fine di incentivare i rimpatri finisce per sostenere paesi dal precario equilibrio democratico, non in grado di assicurare un utilizzo trasparente e improntato al rispetto dei diritti umani delle risorse ottenute.

Rispetto alla Tunisia, chiediamo che il nostro Paese riveda la sua politica bilaterale in materia di rimpatri, interrompa i programmi di finanziamento destinati al rafforzamento dei sistemi di repressione interna e controllo delle frontiere e promuova la cooperazione allo sviluppo e i canali di ingresso legali come strumenti per una politica migratoria a tutela dei migranti presenti in quel paese.  

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