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Rifinanziati i programmi di rimpatrio umanitario dalla Libia nonostante l’allarme lanciato dallə espertə delle Nazioni Unite all’Italia

I programmi di rimpatrio volontario dalla Libia finanziati dall’Italia comportano gravi violazioni dei diritti delle persone in movimento, tra cui il diritto a non essere respinti verso paesi dove è a rischio la propria incolumità. Lə Relatorə Speciali delle Nazioni Unite lo hanno comunicato chiaramente all’Italia ad aprile 2025. Nonostante questo, l’Italia ha recentemente rifinanziato tali programmi. 

A luglio 2025 il Ministero degli Esteri ha decretato l’erogazione di 7 milioni di euro a favore dell’OIM per l’attuazione del progetto “Multi-Sectoral Support for Migrants and Vulnerable Populations in Libya” della durata di 24 mesi.

Oltre 3 milioni di euro sono destinati alle attività finalizzate al rimpatrio di 910 persone migranti dalla Libia verso i paesi di origine. Lo strumento, come di consueto, è il cd Rimpatrio volontario umanitario (VHR), ovvero una particolare forma di rimpatrio volontario assistito attuato in Libia e rivolto a “migranti bloccati o che si trovano in situazioni di vulnerabilità, tra cui l’intercettazione in mare, la detenzione arbitraria e lo sfruttamento.” Secondo quanto si legge nei documenti di progetto, sostenendo il ritorno delle persone migranti nei loro paesi di origine si riduce la loro vulnerabilità e si migliora la loro situazione di protezione. 

Il rifinanziamento dei rimpatri volontari umanitari, sostenuti dall’Italia da diversi anni, è stato stabilito nonostante diversi organismi delle Nazioni unite ne abbiano sottolineato le criticità

Da ultimo, il 30 aprile del 2025, la Relatrice Speciale sulla tratta di esseri umani, il Relatore speciale sui diritti umani dei migranti e il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite hanno scritto al governo italiano proprio in relazione al finanziamento di un simile progetto denominato “Multi-Sectoral Support for Vulnerable Migrants in Libya”. In tale comunicazione, alla quale il governo italiano ha risposto nel luglio 2025, lə espertə delle Nazioni Unite hanno richiamato le criticità emerse nel contenzioso legale promosso da ASGI davanti alla giustizia amministrativa.

La comunicazione mostra come il rimpatrio volontario, date le condizioni a cui sono sottoposte le persone migranti in Libia, “funziona in pratica come l’ultima e l’unica soluzione alle intercettazioni e alla detenzione prolungata per periodi indeterminati”, mettendo in guardia rispetto al rischio che, “in assenza di alternative, migranti, rifugiatə e richiedenti asilo possono essere constrettə ad accettare di tornare in situazioni non sicure, dove rischiano di essere espostə alle medesime condizioni da cui fuggivano”.  Inoltre, ritengono che difficilmente lə migranti sono in grado di dare un consenso libero e informato a causa della mancanza di assistenza adeguata che lə priva di fatto di accedere alla protezione internazionale e a garanzie giudiziali. “In questo contesto, sono state sollevate preoccupazioni sul fatto che i programmi VHR possano aprire canali di mobilità forzata verso i paesi di origine e legittimare la cooperazione con la Libia in violazione del principio di non respingimento,” si legge nella comunicazione.

– @IOM_Libya, X, comunicazione delle attività legate al rimpatrio volontario dalla Libia

Lə espertə continuano notando che, nonostante sia conclamato che il livello di violenza nei confronti delle persone in movimento sia aumentato in seguito alla firma del Memorandum of Understanding del 2017, persistono questioni legate alla trasparenza circa l’impatto sui diritti umani dell’implementazione del progetto e non sono previste adeguate “misure preventive e di mitigazione […] contro i rischi di tratta o di rimpatrio illegale di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, nonché meccanismi di monitoraggio per garantire che i finanziamenti e la cooperazione per i rimpatri siano conformi al diritto internazionale in materia di diritti umani.”

Il progetto prevede anche un supporto tecnico e operativo per rafforzare la capacità delle autorità libiche di gestire operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e di intercettare migranti in mare. Lə espertə avvertono che queste misure rischiano di aumentare le intercettazioni e i respingimenti illegali verso la Libia, esponendo le persone migranti a nuove situazioni di detenzione arbitraria, torture e gravi violazioni in un paese che, come ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza italiana, non può essere considerato un porto sicuro. La comunicazione sottolinea inoltre il rischio che tali interventi contribuiscano a processi di esternalizzazione della protezione delle persone in movimento, in contrasto con gli obblighi previsti dal diritto internazionale dei rifugiati e dei diritti umani.

La comunicazione si conclude con una serie di richieste al Governo italiano:

  1. Di fornire eventuali informazioni aggiuntive e/o commenti sulle accuse sopra menzionate;
  2. Di fornire informazioni dettagliate sulla destinazione e l’amministrazione dei fondi italiani alle autorità libiche e sulle misure adottate per garantire che tali finanziamenti e la cooperazione in materia di rimpatri assistiti non alimentino indirettamente violazioni dei diritti umani, in particolare detenzioni arbitrarie e a tempo indeterminato, rimpatri involontari, tratta di esseri umani, schiavitù e altre forme di sfruttamento lavorativo o sessuale. 
  3. Fornire informazioni sulle misure adottate per offrire alternative alla detenzione e al rimpatrio illegale conformi ai diritti umani e per garantire che i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo siano condotti in luoghi sicuri e ricevano un adeguato sostegno al reinserimento. 
  4. Condividere eventuali strategie di valutazione delle implicazioni in materia di diritti umani dei programmi e delle politiche di gestione della migrazione che l’Italia potrebbe attuare, rinnovare o rafforzare in coordinamento e collaborazione con le autorità competenti nell’ambito dell’accordo di partenariato.

La risposta italiana non fornisce alcun riscontro effettivo alle criticità sollevate, in particolare sulle alternative alla detenzione e al rimpatrio e in relazione al monitoraggio delle attività: la valutazione circa l’adeguatezza del monitoraggio è completamente delegata a OIM e non esistono meccanismi effettivi di controllo da parte del Governo italiano, sia per quanto riguarda il rischio di rimpatrio forzato, sia per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi da parte delle autorità libiche.

Nel frattempo, l’Italia ha ulteriormente consolidato la propria strategia di esternalizzazione attraverso nuovi finanziamenti ai rimpatri volontari. Con un’iniziativa congiunta del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e del Ministero dell’Interno, nell’aprile 2025 è stato approvato lo stanziamento di 20 milioni di euro per il programma “L.A.I.T. – Sviluppo dei meccanismi di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione (AVRR) e di rimpatrio volontario umanitario (VHR) attraverso il rafforzamento delle capacità istituzionali”, in collaborazione con l’OIM e con il supporto tecnico e il monitoraggio dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Tale iniziativa ha l’obiettivo di rimpatriare 3.312 persone migranti nei paesi di origine da Algeria, Libia e Tunisia, e al contempo rafforzare le capacità istituzionali di questi paesi nello sviluppo di sistemi nazionali per il rimpatrio volontario assistito.

Questo intervento rappresenta un ulteriore esempio del massiccio e incrementale finanziamento dei programmi di rimpatrio volontario nell’ultimo decennio: strumenti che consentono di rimpatriare persone “su base volontaria” — quindi in assenza dei presupposti di legge e delle garanzie previste per i rimpatri forzati — e che al tempo stesso contribuiscono ad “alleviare” la pressione migratoria sui paesi di transito, ottenendo il consenso politico di governi come quello tunisino e di altri paesi sostenuti da Italia e Unione Europea nell’attuazione di politiche di deterrenza e blocco della mobilità.

I rimpatri volontari si confermano così uno degli strumenti cardine delle politiche di esternalizzazione: legittimano il blocco della mobilità presentandosi come misure di protezione, ma in realtà violano il diritto di asilo e il principio di non-refoulement.

Per contrastare queste pratiche e le violazioni che ne derivano, ASGI, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Spazi Circolari e Le Carbet hanno presentato contenzioso legale e hanno lanciato la campagna di comunicazione “Voluntary Humanitarian Refusal – a choice you cannot refuse”, con l’obiettivo di  denunciare l’uso distorto dei fondi pubblici destinati a programmi che, sotto la facciata di “umanitari”, contribuiscono in realtà a violare diritti fondamentali e limitare la libertà di movimento.

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