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Respinti a Bengasi

Alarm Phone denuncia un respingimento collettivo per procura coordinato da Malta ai danni di centinaia di migranti, tra cui donne e bambini. A compierlo potrebbe essere stata una milizia legata al generale Haftar, l’uomo forte della Libia orientale ricevuto a Roma ad inizio maggio, anche per discutere di migrazione

Il generale Khalifa Haftar, al centro, in visita in Grecia, gennaio 2020 – Fonte: Ministero degli Affari Esteri Grecia
  • L’ong Alarm Phone denuncia un respingimento collettivo per procura coordinato da Malta ai danni di centinaia di migranti, riportati in Libia. 
  • Oltre 500 persone, tra cui donne e bambini, partite da Tobruk sono state riportate a Bengasi, secondo la ricostruzione dell’ong. Sarebbe uno dei primi episodi di questo tipo ad avvenire nella parte orientale della Libia, sotto il controllo del generale Khalifa Haftar 
  • I tracciati navali rivelano la presenza nell’area della nave carica di migranti di due imbarcazioni libiche, una con lo stesso nome della milizia comandta dal figlio di Haftar, già accusata di crimini e gestione del traffico di migranti nell’est e sud-est libico.
  • Da gennaio ad aprile 2023, più di 16mila persone hanno raggiunto le coste siciliane dalla Libia. Di queste,  oltre 10 mila erano partite proprio dalla Cirenaica, nella Libia orientale governata da Haftar, che ad inizio maggio è stato ricevuto a Roma dalla presidente del Consiglio Meloni.

Di Antonella Mautone e Fabio Papetti (IrpiMedia)

Editing di Lorenzo Bagnoli e Paolo Riva (IrpiMedia)

Il 26 maggio scorso un’imbarcazione partita da Tobruk, nell’est della Libia, con a bordo oltre 500 persone, dopo aver raggiunto le acque di competenza maltesi,  sarebbe stata riportata al porto libico di Bengasi nonostante la Libia sia considerata porto non sicuro. Lo denuncia la ONG Alarm Phone che, contattata da alcuni familiari delle persone a bordo dell’imbarcazione, ha confermato lo sbarco avvenuto sulle coste libiche con conseguente imprigionamento dei migranti e ha parlato di «un respingimento collettivo criminale» «per procura» coordinato da Malta. Non è la prima volta che La Valletta viene accusata di non aver dato soccorso a dei naufraghi e di aver coordinato dietro le quinte un respingimento illegale. La scorsa volta, a Pasquetta 2020,  Malta era stata accusata di essersi coordinata con le autorità della  Libia occidentale, questa volta, invece, avrebbero fatto lo stesso con quella orientale. E, se confermata, sarebbe una novità rilevante perché, per modalità e dimensioni, si tratterebbe di uno dei primi e più eclatanti episodi di respingimenti avvenuti nella porzione di Libia sotto il controllo del generale Khalifa Haftar.

I fatti

Il pomeriggio del 23 maggio, alcuni membri dell’imbarcazione salpata da Tobruk entrano in contatto con Alarm Phone e avvisano di essere in condizioni di difficoltà: alla nave si è rotto il motore e si trovano ad andare alla deriva con quantità minime di acqua e senza giubbotti di salvataggio. L’ong avvisa i centri di coordinamento marittimi (MRCC nella sigla inglese) delle autorità italiane e maltesi, queste ultime responsabili delle operazioni di salvataggio visto che l’imbarcazione è già entrata nella zona di search and rescue (SAR) maltese. Secondo il diritto internazionale si è obbligati a prestare soccorso a natanti in difficoltà e ad avvisare le altre imbarcazioni nella zona che possano fornire soccorso. Il 23 maggio erano presenti in zona almeno tre petroliere, una nave mercantile e due unità (una aerea e una terrestre) dell’operazione europea EUNAVFORMED Irini. Ma nessuno è stato avvisato ed è entrato in azione. 

Nei giorni successivi all’accaduto le autorità maltesi negheranno di aver avvistato il peschereccio nella posizione riportata da Alarm Phone. Sta di fatto che l’ultimo contatto dell’Ong con la nave alla deriva avviene alle 6:20 di mattina ore italiane del 24 maggio. Da lì in poi Alarm Phone perde le tracce della nave e solo il 26 maggio apprende dai parenti delle persone a bordo che i loro cari sono stati imprigionati a Bengasi. Il giorno in cui la ong ha perso i contatti ha notato la presenza di due imbarcazioni vicino alla nave in pericolo: un peschereccio libico e un’imbarcazione chiamata Tareq Bin Zeyad. 

Le navi

Ad oggi non si hanno informazioni certe su come il presunto respingimento sia stato effettuato. Alarm Phone afferma che sia avvenuto sotto il coordinamento delle autorità maltesi e si domanda se  le due navi libiche presenti in zona abbiano avuto un ruolo nel riportare il peschereccio carico di migranti sulle coste di Bengasi. 

La  posizione dell’imbarcazione al centro dell’episodio denunciato da Alarm Phone. Foto: Alarm Phone

Molti aspetti sono da accertare, però un altro caso del passato può aiutare a comprendere i passaggi del respingimento. Il 13 aprile 2020 ci fu un naufragio in cui morirono 12 delle 64 persone che viaggiavano in un’imbarcazione di fortuna. In quell’occasione i sopravvissuti furono presi non da una motovedetta ma da un peschereccio libico, che aveva avvicinato l’imbarcazione e aveva detto di lavorare per le autorità maltesi, prima di riportare i migranti a Tripoli e imprigionarli nel carcere di Tariq al Sikka. Anche nel caso della scorsa settimana un peschereccio era presente nella zona ma ancora non è stata rivelata l’identità, che abbia partecipato all’operazione ingannando anche questa volta i migranti?

Interpellati da Associated Press, UNHCR e OIM hanno affermato che proprio il 26 maggio un’imbarcazione con 485 migranti è stata riportata a Bengasi da una nave appartenente alla LNA, l’esercito del generale Haftar, ma non hanno potuto confermare che le persone riportate siano le stesse che erano sul peschereccio avvistato da Alarm Phone. Secondo le due organizzazioni, però, ad effettuare l’operazione sarebbe stata la Tareq Bin Zeyad, la stessa imbarcazione presente nella zona del respingimento denunciato da Alarm Phone.

La milizia

L’imbarcazione in questione porta lo stesso nome della brigata Tareq Bin Zeyad, che opera anche a Bengasi, che è guidata da Saddam Haftar, figlio del generale dell’est libico Khalifa Haftar, e che, soprattutto è nota per le violenze perpetrate sulla popolazione libica e sui migranti.  

La brigata, chiamata anche Tariq bin Ziyad (TBZ), prende il nome dal comandante berbero che nell’VIII secolo iniziò la conquista musulmana della Penisola Iberica. Al suo interno convivono militari fedeli a Muammar Gheddafi e miliziani delle tribù affiliate all’esercito di Khalifa Haftar. L’area maggiormente controllata dalla brigata è Sidi Faraj, quartiere nel sud-est di Bengasi, ma negli anni è riuscita a prendere sempre più controllo delle zone sud e sud-ovest del Paese. Nel periodo 2014-2019, la TBZ ha costretto migliaia di migranti nella zona di Sebha, nel sud della Libia, ad abbandonare le proprie case perché accusati di essere immigrati irregolari e li ha lasciati nel deserto al confine tra Libia e Niger senza risorse né mezzi per potersi muovere.

«Da dopo la guerra persa da Haftar contro Tripoli nel 2020, l’esercito dell’est ha dovuto trovare nuovi finanziamenti e ha iniziato a fare delle attività illegali una delle fonti principali con cui mandare avanti le diverse milizie al suo interno», afferma Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed esperto di Sahel. Il gruppo infatti è divenuto uno dei maggiori trafficanti di droga i cui proventi finiscono nei forzieri di Saddam Haftar. 

Altro business lucrativo è il traffico di esseri umani che permette alle milizie di richiedere somme spropositate di denaro in cambio della libertà a proseguire il proprio viaggio. La TBZ ha il controllo in diversi centri di detenzione nelle aree sotto l’esercito di Haftar e gestisce la prigione di Gernada tra Bengasi e Tobruk. In un rapporto del 2022 Amnesty International, grazie ad alcune testimonianze raccolte sul campo, accusa la milizia di aver perpetrato crimini contro l’umanità nelle varie prigioni che controlla.

Il generale

Se confermato, il coinvolgimento della brigata Tareq Bin Zeyad in un respingimento così numeroso e complesso, apparentemente coordinato con le autorità maltesi, sarebbe uno sviluppo importante nelle controverse attività delle autorità libiche per fermare le persone in movimento.

Negli ultimi anni, infatti, la maggior parte dei respingimenti noti – che ricordiamo sono pratiche illegali, contrarie alle leggi internazionali – sembravano concentrarsi nella parte occidentale del Paese. Ora invece avverrebbero anche ad est, portate avanti addirittura da una milizia con forti legami con l’uomo forte dell’est, il generale Haftar. 

Proprio Haftar, lo scorso maggio, è stato ricevuto dal Governo Italiano a Roma, dove ha incontrato i ministri della Difesa, degli Esteri, dell’Interno e, soprattutto, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Al centro dei colloqui anche il tema migrazioni.

Da gennaio ad aprile 2023, più di 16mila persone hanno raggiunto le coste siciliane dalla Libia. Di queste,  oltre 10 mila erano partite proprio dalla Cirenaica, nella Libia orientale governata da Haftar. 

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