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Italia – Libia: navi a perdere

Dopo il naufragio del 12 marzo, Tripoli dice di non avere abbastanza mezzi per intervenire. Eppure il flusso di sostegno alla Libia è costante. E i mezzi dall’Italia continueranno ad arrivare.

Di Fabio Papetti e Matteo Garavoglia (IrpiMedia)

Editing di Paolo Riva (IrpiMedia)

Sono le 14:28 dell’11 marzo quando l’ong Alarm phone trasmette ai centri di coordinamento e soccorso marittimo (MRCC) italiano, libico e maltese le coordinate di un’imbarcazione con 47 migranti a bordo in gravi difficoltà di navigazione, a oltre cento miglia dalle coste libiche. Il tempo stringe. Chi dovrebbe essere più vicino all’imbarcazione, e quindi pronto a procedere con il salvataggio, è la Guardia costiera libica ma, chiamata dalle ong presenti nel Mediterraneo, ha affermato che non avrebbe inviato nessun soccorso. Quattro mercantili italiani sono nelle vicinanze, ma nessuno ancora interviene. Sono passate le 11 di sera. Dopo diverse ore l’ordine di effettuare un’azione di salvataggio viene emanato dal MRCC di Roma. Alle 6:50 Alarm phone riesce a comunicare per l’ultima volta con l’imbarcazione. Le operazioni iniziano alle prime luci del 12 marzo, ma durante il loro svolgimento il gommone, ormai in condizioni più che precarie, si ribalta. Solo 17 persone riescono a salire a bordo del mercantile Froland, le altre 30 vengono prese dal mare. Durante le varie comunicazioni tra ong e autorità competenti, la Guardia costiera libica ha affermato che non disponeva di mezzi a sufficienza per compiere un salvataggio del genere. 

Quante navi servono per salvare una persona?

Se si guardano le relazioni tra Italia e Libia, un’affermazione del genere è a dir poco sorprendente. Negli ultimi sei anni, il nostro Paese ha garantito a quello nordafricano la fornitura o dei contributi alla riparazione di un totale di 24 navi tra i 10 e i 35 metri, tra gommoni veloci (RHIB) e imbarcazioni per il soccorso in mare (SAR), e si prevede che  almeno altre 16 imbarcazioni debbano essere inviate entro il 2023. Le ultime consegne sono state fatte il 6 e il 19 febbraio di quest’anno. 

A inizio febbraio, in una conferenza stampa tenutasi ad Adria in provincia di Rovigo, sede di Cantieri Navali Vittoria (CNV), viene presentata l’imbarcazione Classe 300 di tipo SAR alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e della sua controparte libica Najla El Mangoush, del ministro degli Interni Antonio Piantedosi e del commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi, affiliato al partito di estrema destra ungherese Fidesz.  «La Libia è un Paese strategico per il controllo dell’immigrazione clandestina. I flussi irregolari sono ancora purtroppo molto alti e il supporto della Libia perciò è importante», dichiara Tajani durante la cerimonia. La Classe 300 è la stessa in dotazione alla Guardia costiera italiana: lunga 20 metri, larga circa sei, capace di raggiungere a pieno carico una velocità di 35 nodi, circa 64 km/h, dichiarate praticamente inaffondabili e capaci di accogliere fino a 200 persone a bordo. Secondo gli accordi presi, CNV dovrebbe fornire due ulteriori unità entro il 2023. E non sarebbero neanche le unità di maggior portata a disposizione delle forze libiche. Le navi p300 e p301 sono imbarcazioni da 35 mt recentemente riparate, sempre dal Cantiere navale vittoria, e restituite alle autorità libiche dalla GACS (General administration for coastal security in inglese), forza che dipende dal Ministero dell’Interno di Tripoli, mentre la Guardia costiera è legata a quello della Difesa. Navi più che adatte per un’operazione di salvataggio. 

Il mare torbido dei finanziamenti

Dai documenti che ha potuto visionare IrpiMedia, l’unico che tiene conto della fornitura dello scorso 6 febbraio è la determina dell’8 novembre 2021 della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere. Il documento, che contiene le condizioni e i beneficiari del provvedimento, fa riferimento al Ministero dell’Interno, e quantifica in 6.270.000 euro la cessione da parte del Comando generale del corpo delle capitanerie di porto di tre unità navali nell’ambito del programma Support to integrated border management in Libya (SIBMMIL) (link pezzo IrpiMedia).  

L’insieme dei mezzi navali e terrestri dati alla Libia dal 2017 ad oggi ricadono sotto il programma finanziato dall’UE e coordinato dal Ministro degli interni italiano. Comprende due fasi e ha una durata complessiva di sette anni, con azioni previste fino al 2024. La trasparenza delle rendicontazioni statali sulle attività collegate al progetto manca di un aggiornamento ragionevole e i dati presenti nelle pagine istituzionali risalgono solo a giugno 2022. Tuttavia, sappiamo che i finanziamenti europei per l’opera italiana in SIBMMIL vengono raccolti nel fondo di rotazione 23211, che garantisce la centralizzazione presso la Tesoreria dello Stato dei flussi finanziari dei fondi strutturali provenienti dall’Unione Europea e la gestione univoca dei relativi trasferimenti in favore delle Amministrazioni e degli Enti nazionali. Analizzando i dati, si può sapere che l’italia ha ricevuto ad ora un totale di 37 milioni di euro e ne ha spesi 32,5, di cui ActionAid insieme a IrpiMedia ne hanno tracciato 19 milioni. Per ora sappiamo che il progetto ha a disposizione un totale di 57 milioni di euro per entrambe le fasi e recentemente l’UE ha avviato l’implementazione di due ulteriori azioni da accorpare a SIBMMIL, per 10 milioni di euro in più, al fine di rafforzare ulteriormente le abilità di controllo dei confini marittimi e terrestri dei libici. Il budget totale dovrebbe quindi raggiungere i 67 milioni di euro e il coordinamento delle attività sarebbe in mano al ministero dell’Interno italiano che negli anni ha rinnovato l’equipaggiamento delle unità militari locali presenti. 

Le spese più consistenti all’interno del progetto sono state proprio per la fornitura di mezzi navali e terrestri e per la riparazione degli stessi. Inoltre, punto fondamentale del programma sarebbe la costituzione di un MRCC a Tripoli per rinforzare il coordinamento delle unità marittime attraverso la fornitura di sistemi di comunicazione e container che fungano da base per le autorità libiche predisposte al controllo dei confini marittimi. In questo modo si è continuato a fornire alle unità libiche tecnologia e mezzi con la speranza di equipaggiare un’unica forza militare con gli strumenti necessari per sorvegliare autonomamente le frontiere.

A fine gennaio la Presidente del Consiglio  Giorgia Meloni con il capo della Farnesina Antonio Tajani e il ministro dell’Interno Piantedosi si è recata a Tripoli per incontrare il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico Abdel Hamid Dabaiba. Nell’occasione è stata annunciata «la firma di accordi tra Italia e Libia in tema di cooperazione, energia e flussi migratori». Oltre alla firma di un accordo del valore di 8 miliardi di dollari per la produzione di gas tra Eni e la Noc (National Oil Company), si è raggiunta un’intesa che prevede la consegna di cinque motovedette finanziate dall’Unione Europea. In questo caso non è stato possibile ricostruire se queste imbarcazioni facciano riferimento alle gare vinte da Cantieri Navali Vittoria o si tratti di nuovi accordi i cui valori economici sono ancora da definire. Contattati da IrpiMedia per avere maggiori dettagli sui tempi di consegna delle restanti due imbarcazioni previste nel corso del 2023, Cantieri Navali Vittoria ha risposto: «Preferiamo non rilasciare dichiarazioni sul tema».

Speranze mal riposte

Tuttavia, nonostante i soldi già spesi,  e come avvisa lo stesso documento rilasciato a gennaio di quest’anno dalla Commissione Europea, l’azione principale del progetto, la costituzione del MRCC Tripoli, stenta a decollare. Anzi, nella descrizione dell’azione 4 del documento, si legge che “sono già presenti componenti tecniche per un MRCC che sono state consegnate ma rimangono inutilizzate”. Eppure UE e Italia continuano a inviare navi alle forze libiche.

Ma a chi sono andate davvero le imbarcazioni? Se si cerca un colpevole sulle sponde libiche per il mancato soccorso, si rimarrà delusi. Ad oggi le forze armate libiche sono costituite da una moltitudine di gruppi e milizie accorpate a reggimenti ufficiali che nulla hanno a che fare con un esercito nazionale sotto un comando centrale. All’interno delle forze libiche impegnate nelle operazioni di intercettazione e respingimento in mare convivono diversi gruppi armati non riconosciuti a livello ufficiale che rispondono solo al comandante locale o a dinamiche di affiliazione tribale. Ciascun gruppo ha il suo tornaconto, e spesso nascono scontri per il controllo del territorio, delle risorse o dei mezzi a disposizione visto che ognuno di questi fattori si traduce in un incremento del potere esercitato rispetto ai rivali. Solo lungo la costa ovest della Libia esiste un complesso groviglio di sfere di influenze che si contendono il controllo del mare. Pur semplificando si possono identificare tre macro gruppi: la guardia costiera libica (GCL), la GACS (sopradescritta) e lo Stability and Support Apparatus (SSA). Inizialmente la GCL aveva il predominio sul mare, ma negli ultimi due anni lo SSA è diventato il gruppo di maggior potere nella zona di Tripoli. Al suo interno convivono in un equilibrio precario personaggi come Abd al-Rahman Milad, detto al-Bija, noto trafficante di esseri umani con cui l’Italia si è seduta al tavolo delle trattative sul contrasto all’immigrazione irregolare nel 2019. La GACS invece ha avuto ultimamente il supporto dell’esercito turco che ne ha aumentato la presenza nelle operazioni di cattura e recupero delle imbarcazioni di fortuna con cui i migranti tentano la traversata del Mediterraneo. Questi gruppi concorrono nelle operazioni in mare e l’affiliazione a uno piuttosto che a un altro viaggia su una sottile linea di interessi che si intrecciano e sfociano talvolta in una milizia, talvolta in un’altra. 

Lunedì 13 marzo, il giorno dopo la morte dei 30 migranti a largo delle coste libiche, la portavoce della Commissione Europea Ana Pisonero ha dichiarato che l’Europa invierà ulteriori unità navali alla Guardia costiera libica per incrementare le capacità di controllo e prevenire le morti in mare. L’ex ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio in una delle sue ultime relazioni parlamentari del 2022 ha dichiarato che è necessaria il Libia una riforma della sicurezza che comprenda la convergenza di tutte le milizie presenti sul territorio in un’unica unità con lo scopo di attenuare le presenti divergenze e aiutare il processo di democratizzazione. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo scorso gennaio, durante la sua visita in Libia, ha affermato che l’Italia fornirà altre cinque navi alla marina libica per contrastare l’immigrazione irregolare. Eppure non ci sono evidenze che continuare a fornire supporto a unità militari divise tra loro sia efficace nel ridurre gli arrivi di migranti in Italia. Così come non ci sono né notizie né documenti ufficiali che indichino chiaramente chi davvero riceva queste unità militari. Dalle informazioni rese pubbliche dai diversi corpi militari italiani responsabili dell’affidamento delle navi ai corrispettivi libici non si hanno indicazioni sui beneficiari ultimi, un dettaglio fondamentale data la frammentazione delle forze libiche. 
Inviare mezzi e strumenti destinati ad una delle zone più contese del Paese porta ulteriori contrasti interni su chi debba essere l’effettivo beneficiario delle forniture. Italia ed Unione Europea continuano a trattare la Libia come fosse un Paese pacificato, quando invece non lo è. In questo contesto chiunque dia legittimità ad un gruppo rischia ripercussioni per mano degli altri, inasprendo le dinamiche interne per ulteriori guadagni sulle vite dei migranti. Impossibile, quindi, che Tripoli possa garantire da sola i salvataggi nella sua zona di competenza. Non per mancanza di mezzi, ma di autorità politica.

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