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Il fallimento dell’Emergency Trust Fund for Africa. Tra controlli inadeguati e violazioni dei diritti.

Di Lorenzo Figoni e Roberto Sensi

To muddle through è un’espressione inglese che significa “riuscire a fare qualcosa nonostante non si sia adeguatamente organizzati e non si sappia come”. Letteralmente “farsi strada attraverso il fango”, sperando che in qualche modo il risultato atteso piova dal cielo. Si potrebbe descrivere così l’impressione che si ha leggendo il rapporto della Corte dei conti europea sull’Emergency Trust Fund for Africa (EUTF), il fondo che l’Europa ha istituito nel 2015 per “promuovere la stabilità e aiutare a gestire meglio i flussi migratori rimuovendo le cause profonde della destabilizzazione, degli sfollamenti forzati e della migrazione irregolare”. Di fatto, risorse, prevalentemente di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) destinate al controllo delle frontiere e a intervenire sulle cosiddette cause profonde delle migrazioni.

Con un audit che ha riguardato il periodo tra la fine del 2015 e il dicembre 2023, la Corte dei Conti europea ha esaminato l’impatto e il funzionamento del fondo a partire da un campione di 16 progetti finanziati. Tuttavia, gli auditor della Corte non hanno potuto visitare tutti i beneficiari e i progetti selezionati nel campione, poiché gli stessi attuatori del progetto o la delegazione dell’UE non sono riusciti a raggiungere i beneficiari o non hanno concesso le autorizzazioni per visitare le sedi per vincoli di tempo e di sicurezza. Cinque degli attuatori dei progetti non hanno fornito tutte le informazioni richieste (tra gli elementi mancanti fatture, elenchi di presenza e nomi di beneficiari). Problemi che, secondo gli auditor, hanno riguardato metà dei progetti del campione. 

Una mancanza di trasparenza significativa ai fini dei necessari controlli sull’implementazione dei progetti finanziati, che in diverse occasioni raccontano della realizzazione di  specifiche attività e di lavori mai realmente portati a termine. Un esempio risulta emblematico: «Quattro progetti del campione considerato hanno dichiarato un totale di 62 “parchi industriali e/o infrastrutture per imprese costruiti, ampliati o migliorati”. La Corte ha constatato che i quattro progetti non riguardavano alcun parco industriale. Le realizzazioni che gli auditor hanno potuto verificare riguardavano infrastrutture o attrezzature per imprese. […] Un progetto ha segnalato 12 realizzazioni nell’ambito di questo indicatore. Nel corso di una visita a una delle strutture sostenute, gli auditor della Corte hanno scoperto che essa esisteva già da diversi anni e che era stata costruita dalle autorità locali. Il sostegno dell’EUTF era servito a finanziare piccoli dispositivi informatici: un computer portatile, una stampante, un paio di cuffie e un notepad». 

Nell’utilizzo delle risorse stanziate a partire dall’EUTF – si legge nel rapporto – non si è tenuto conto a sufficienza degli insegnamenti tratti dalle esperienze progettuali concluse, a maggior ragione nel momento in cui queste avrebbero messo in discussione proprio l’approccio alla base dello strumento finanziario utilizzato: l’intervento sulle cosiddette “cause profonde” della migrazione irregolare. In un caso evidenziato dalla Corte infatti veniva infatti mostrato come uno degli insegnamenti tratti fosse che «un aumento sostanziale del reddito può non comportare automaticamente una maggiore resilienza di fronte alla migrazione irregolare; al contrario, può addirittura innescare il rischio di realizzare piani “dormienti” di migrazione irregolare, a causa degli elevati costi e della forza con cui la migrazione viene percepita quale “unica” chiave per il successo e un futuro migliore, nonostante la consapevolezza dei rischi e dei pericoli della migrazione irregolare. Una cosa analoga succede in relazione al miglioramento delle competenze professionali». Un approccio fallimentare insomma, ma che viene ancora oggi raccontato come una “via umana” alla gestione dei flussi migratori.

Il contraltare, meno umano, è quello del puro controllo dei confini. Finanziate da EUTF sono infatti anche le due fasi del progetto intitolato Support to Integrated Border Management and Migration in Libya (SIBMMIL), che vedono anche un cofinanziamento da parte del governo italiano. Anche le attività in Libia sono esaminate all’interno del rapporto, soprattutto in relazione al rischio di violazioni dei diritti umani che da anni vengono costantemente denunciate. 

Tralasciando le attività difficilmente inquadrabili negli obiettivi del fondo (come la ristrutturazione del lungomare di Al Shabbi a Bengasi o il restauro del teatro romano di Sabratha), la Corte osserva i progetti finanziati sotto la lente del principio del “non nuocere” (do not harm), con cui si stabilisce che, attraverso gli interventi effettuati, non devono essere causati danni inaccettabili o violazioni dei diritti umani. Un principio il cui rispetto è stato tenuto evidentemente poco in considerazione. «La Corte ha esaminato 58 relazioni di missione sui progetti dell’EUTF nei cinque paesi visitati, e solamente una indicava i controlli svolti per il principio del “non nuocere”. Nessuna delle altre 57 relazioni conteneva documentazione indicante che tali controlli erano stati eseguiti, né spiegazioni sul perché non fossero necessari».

Nessun controllo dunque, mentre in Libia «dal 2018, l’amministrazione generale libica per la sicurezza costiera riceve formazione e attrezzature, in particolare imbarcazioni riparate, ma il suo ruolo nelle operazioni di ricerca e salvataggio è molto più limitato rispetto a quello della guardia costiera libica (GCL). Il principale attore libico in mare è la GCL, che ha ricevuto la sua prima imbarcazione finanziata dall’EUTF nel giugno 2023». Autorità libiche formate e finanziate anche attraverso fondi italiani ed europei, per contribuire a contrastare la narrazione – documentata – di una Libia non sicura per i migranti. Nonostante le rassicurazioni da parte della Commissione europea rispetto alla consegna di un MRCC libico, che porrebbe in capo alle autorità libiche l’effettivo coordinamento delle operazioni di Search And Rescue, la Corte conferma che «la Libia non dispone di un centro di coordinamento nazionale per la ricerca e il salvataggio e il suo centro di coordinamento per il salvataggio marittimo non è ancora operativo, sebbene le attrezzature finanziate dall’EUTF siano state consegnate nel dicembre 2021». 

Container chiusi a chiave e inutilizzati destinati al futuro centro di coordinamento del soccorso marittimo di Tripoli. Fonte: Corte dei conti europea.

Ma c’è di più e anche le formazioni per le autorità libiche non sembrano raggiungere i risultati sperati. O perlomeno il raggiungimento di tali risultati non è dimostrato, in un caso esemplificativo infatti «gli auditor non hanno reperito documentazione formale indicante la portata e il contenuto di questi corsi (ad esempio, struttura del corso, diapositive PowerPoint, ore di lezione, elenco delle presenze), poiché la maggior parte di essi consisteva in una formazione pratica da svolgere in mare». Nessun riscontro, quindi, rispetto all’effettivo svolgimento di questi corsi, delle modalità e dei risultati.

Difatti le violenze da parte delle autorità libiche continuano. La Commissione ha dichiarato che avrebbe sospeso il sostegno nel caso di una denuncia di violazione dei diritti umani direttamente collegata ad una spesa dell’UE, sulla base di una valutazione individuale della necessità e della proporzionalità, tenendo anche conto del contesto del paese. Nonostante le numerose denunce di violazioni di questo tipo, la Commissione non avrebbe fornito esempi di valutazioni formali eseguite in relazione alle attività finanziate. «La Commissione ha descritto agli auditor della Corte esempi di situazioni che comporterebbero la sospensione delle sue attività in Libia. Benché gli auditor abbiano constatato prove evidenti di una situazione di questo tipo, la Commissione non ha finora sospeso alcuna attività dell’EUTF in Libia, ritenendo che il sostegno debba continuare per preservare la vita e alleviare le sofferenze dei migranti».

Impossibile anche valutare gli interventi nei famigerati centri di detenzione libici. Le autorità libiche infatti non avrebbero concesso l’accesso ai centri di trattenimento finanziati dall’EUTF, che pertanto non sono stati visitati. «Secondo le relazioni di monitoraggio dei diritti umani, le condizioni di vita nei centri di trattenimento sono leggermente migliorate grazie ai lavori eseguiti, ma il trattamento riservato alle persone non è cambiato».

L’analisi della Corte dei Conti evidenzia un giudizio negativo sull’efficacia dello strumento rispetto ai suoi obiettivi. Un risultato che non sorprende: l’EUTF è stato concepito come risposta meramente politica alla cosiddetta crisi migratoria. I fondi, prevalentemente destinati all’aiuto pubblico allo sviluppo, sono stati in gran parte vincolati al contenimento e alla gestione dei flussi. La mancanza di una visione strategica sul nesso tra migrazione e sviluppo ha portato alla proliferazione di progetti a breve termine, che spesso hanno favorito l’aumento del reddito individuale, reinvestito in molti casi in nuovi progetti migratori, piuttosto che nel rafforzamento del welfare e nella creazione di opportunità di lavoro stabili e durature. Nei casi in cui le risorse sono state impiegate per obiettivi più direttamente legati alla politica migratoria, come rimpatri e contenimento dei flussi, la Corte ha sottolineato una problematica già denunciata da anni dalle organizzazioni non governative: l’assenza di un meccanismo efficace per prevenire la violazione dei diritti umani.

Con il nuovo ciclo finanziario europeo 2021-2027, l’EUTF è stato sostituito da uno strumento integrato nel bilancio dell’UE, ovvero lo Strumento di Vicinato, Cooperazione allo Sviluppo e Cooperazione Internazionale – Europa Globale (NDICI-Europa Globale). Tuttavia, gli obiettivi rimangono sostanzialmente invariati, nonostante i limiti e i rischi già ampiamente evidenziati nella relazione della Corte dei Conti. Tali obiettivi ricadono in un target di spesa del 10% delle risorse e, su pressione di alcuni Paesi membri, è stata data maggiore enfasi al controllo delle frontiere rispetto agli interventi sulle cosiddette cause profonde della migrazione, i cui risultati sono difficili da valutare nel breve e medio termine. Anche per l’NDICI, la mancanza di meccanismi adeguati di controllo e prevenzione delle violazioni dei diritti umani persiste, come confermato da recenti ricerche.

Nonostante ci si auguri che i risultati della relazione della Corte dei Conti possano stimolare un dibattito istituzionale e interventi correttivi da parte della Commissione, soprattutto alla luce della valutazione intermedia degli strumenti finanziari in corso, è probabile che nulla di significativo cambi. Nelle attuali politiche migratorie, infatti, gli obiettivi di contenimento continuano a prevalere tanto sui principi di trasparenza e accountability quanto sui diritti delle persone.

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