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Esternalizzare. Fino al Golfo Persico

Che ruolo hanno gli Emirati Arabi Uniti nei flussi migratori che dalla Libia arrivano in Italia? Anche la migrazione è un tema nell’agenda del nuovo inviato UE nel Golfo, Luigi Di Maio

  • Tra le linee guida promosse dal Consiglio europeo l’impegno a rafforzare la cooperazione tra UE ed Emirati Arabi Uniti in ambito migrazione
  • Gli Emirati sono uno dei punti di transito principali per i migranti provenienti dal Bangladesh prima di arrivare in Libia
  • Allo stesso tempo sono uno dei Paesi maggiormente influenti nella politica libica: prima con supporto militare alle forze dell’est, ora più moderati e aperti al dialogo tra le parti
  • L’Unione Europea (e l’Italia) si avvicinano sempre di più al Golfo, ma quale costo avrà sui migranti?

Di Fabio Papetti (IrpiMedia)

Editing Paolo Riva (IrpiMedia)

L’esternalizzazione delle frontiere UE potrebbe arrivare fino a Abu Dhabi e Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Non si pensa alla migrazione come al primo tema nell’agenda di Luigi Di Maio, inviato dell’Unione Europea nei Paesi del Golfo fresco di nomina. Eppure al punto sette delle linee guida promosse dal Consiglio europeo del 13 gennaio di quest’anno per il contrasto all’immigrazione proveniente dal Nord Africa, si parla proprio di rafforzare i legami, tra gli altri, con gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Il fine sarebbe quello di lavorare insieme ai Paesi che ad oggi rappresentano un hub di transito per i migranti asiatici verso la Libia. Proprio gli Emirati rappresentano una tappa frequente per molte persone che sperano di raggiungere l’Europa attraverso il Nord Africa. Solo in Italia, negli ultimi due anni sono raddoppiati i numeri degli arrivi via mare di migranti di nazionalità bangladese, passando da poco più di 7 mila nel 2021 a più di 14 mila persone nel 2022. 

Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo, in visita presso gli Emirati Arabi Uniti, 7 settembre 2022.

In Libia, passando per Dubai

Il viaggio dal Bangladesh agli Emirati si compie nella maggior parte dei casi attraverso un dalal, un termine che viene tradotto come “agente di viaggio”, o tramite delle “agenzie di viaggio”, che forniscono documenti, biglietti aerei e in alcuni casi corrompono le guardie incaricate dei controlli negli aeroporti per far passare le persone che viaggiano con loro. Alcune testimonianze dei migranti che si sono affidati a queste figure parlano delle famiglie costrette a vendere i propri terreni per poter pagare il costo e giungere a Dubai, uno dei sette emirati che compongono gli EAU, per lavorare. Una volta arrivati, però, le promesse di un lavoro in grado di poter sostenere la famiglia rimasta a casa si infrangono con la realtà di paghe irrisorie e libertà limitata dai datori di lavoro, che detengono i loro documenti. Sono proprio le condizioni sociali negli Emirati a spingere  i migranti a riprendere il cammino e a cercare fortuna altrove, in un viaggio che porterà in Libia. Qui, stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) riferiscono che a dicembre 2022 erano presenti oltre 22 mila migranti provenienti dal Bangladesh, buona parte dei quali concentrati nelle regioni di Tripoli, ovest, o Benghazi, est. Di tutti questi, il 35% era stato condotto in Libia passando per gli EAU. 

Una forte influenza

Gli Emirati hanno un’influenza considerevole nel Paese nord africano, non senza controversie a livello internazionale. Nel report del marzo 2021 il Panel di esperti sulla Libia delle Nazioni Unite mostra come gli EAU siano stati coinvolti nell’invio di mezzi ed equipaggiamento militare, violando così l’embargo ONU, per supportare l’avanzata del generale Haftar durante la guerra iniziata nel 2019 tra le forze dell’est comandate dal signore della guerra e l’esercito del Governo di unità nazionale (GNU nell’acronimo inglese). L’avanzata dell’armata di Haftar è stata possibile grazie anche agli attacchi di droni inviati dagli Emirati, prima di essere poi fermata grazie all’intervento turco a sostegno dell’ovest. Allo stesso tempo, gli Emirati sono stati uno dei punti da cui sono partiti i voli che hanno portato i mercenari russi del gruppo Wagner in Libia: i mercenari sono ancora attivi nella regione e permettono ad Haftar di controllare luoghi strategici come aeroporti e i pozzi petroliferi di al-Wafa e al-Fargh, tra i più produttivi del Paese. Solo di recente, dal 2022, gli Emirati hanno adottato una politica meno interventista e più di dialogo con la Libia, togliendo parte del supporto ad Haftar e favorendo anche il GNU capeggiato da Abdul Hamid al-Dbeibeh, così da porsi come forza in grado di influenzare le politiche interne libiche. 

Con gli Emirati Arabi Uniti, l’Unione Europea e l’Italia tempo tessono già da relazioni in quei campi che sono diventati di maggiore attualità negli ultimi mesi: energia, democrazia e migrazione. Nel 2018, il Servizio di azione esterna europeo (EEAS) ha firmato un trattato con il ministro degli affari esteri degli Emirati, per cooperare nel settore economico, di transizione energetica, sicurezza e assistenza umanitaria. Lo scorso marzo, Giorgia Meloni ha incontrato ad Abu Dhabi lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati. Nell’occasione, sono stati discussi accordi energetici insieme ad Eni e la Presidente del consiglio italiana ha affermato che gli Emirati sono un partner strategico nello scacchiere del Nord Africa, con un focus sulla Libia. 

“Responsabilità condivise”

Nonostante il modo in cui il Paese del Golfo tratta i migranti e il controverso ruolo che gioca in Libia, le relazioni tra gli Emirati e l’Unione Europea proseguono. Dal trattato di cooperazione siglato nel 2018 si parla di affrontare il problema della migrazione adottando il principio di “responsabilità condivise”, ma come? Mettendo da parte i casi libici e turchi più noti, Serbia e Iraq potrebbero essere due esempi cui guardare. Nell’estate del 2021, l’Unione Europea ebbe diversi scambi diplomatici con l’Iraq per limitare il numero di voli che partivano per la Bielorussia di Lukashenko, arrivando anche a minacciare di limitare i visti per i cittadini iracheni. Nell’ottobre dello scorso anno invece, la Serbia ha subito pressioni da parte dell’Ue affinché introducesse il sistema dei visti per i Paesi da cui provengono buona parte dei migranti diretti nell’area Schengen. Nel caso degli Emirati per ora sembra prevalere la tendenza ad un accordo, soprattutto se si pensa che il 21 aprile scorso Luigi di Maio è stato nominatoinviato speciale dell’Unione Europea nei Paesi del Golfo, ruolo finora mai esistito in UE, per occuparsi principalmente di sicurezza ed energia. E, in Europa, si sa: sicurezza fa rima con migrazione.

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