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Il mare di sabbia tra Libia ed Egitto

La vicenda di 287 migranti egiziani bloccati a Tobruk, nell’Est della Libia, apre uno squarcio su come funziona il traffico di esseri umani in Cirenaica

Di Fabio Papetti
Editing di Lorenzo Bagnoli 

La notte del 4 settembre scorso le autorità di Tobruk, città nell’Est della Libia, hanno trovato 287 migranti, tra cui novanta minorenni. Provenivano tutti dall’Egitto e si trovavano in un capannone nella campagna a sud della città. Stando ai loro racconti, erano in attesa dei trafficanti che li avrebbero portati in Italia. Dal capannone, i migranti sono stati portati in uno dei centri di detenzione sotto il controllo del Directorate for Combating Illegal Migration (DCIM), l’autorità libica preposta alla gestione dei flussi migratori che risponde al Ministero dell’Interno di Tripoli. 

Dopo alcuni giorni di prigionia, le autorità libiche hanno portato il gruppo al valico di confine di Emsaed. In perfetta simmetria, come in un riflesso sull’acqua, si fronteggiano la stazione libica e quella egiziana: è lì che i migranti sono stati rimpatriati. 

Il progetto The Big Wall

Da quest’anno IrpiMedia collabora con ActionAid nella realizzazione di inchieste che nascono da The Big Wall, osservatorio sull’esternalizzazione della spesa per gestire i flussi migratori diretti all’Italia. Questo lavoro raccoglie anche spunti dalle richieste di accesso agli atti di Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

Quando la Libia era parte dell’Impero dell’Italia fascista, qui sorgeva Forte Capuzzo, avamposto del Regio Esercito italiano. Il generale Rodolfo Graziani aveva costruito una recinzione di filo spinato a protezione del confine che terminava 286 chilometri più a Sud, presso l’oasi di al-Jaghbub, antica città berbera confinante con l’Egitto, di cui restano ancora ampie tracce. Oltre, inizia il mare di sabbia del Sahara. La vicinanza con l’oasi egiziana di Siwa ne fa ancora oggi l’unica tappa intermedia raggiungibile dai migranti lungo la rotta del deserto. È il crocevia della maggior parte dei traffici di persone che provengono dal territorio egiziano, ed è qui che con molta probabilità i vari componenti del gruppo hanno attraversato in tempi diversi il confine: la maggior parte di loro proveniva dalle aree di Assiut e Minya, zone centrali dell’Egitto bagnate dal Nilo. Trasportati nei furgoni dai trafficanti egiziani, i migranti hanno attraversato il deserto prima di fare tappa all’oasi libica. Hanno raccontato che durante il tragitto i loro passeur li hanno lasciati in condizioni misere, con una minima quantità di cibo e acqua per combattere il caldo. Da al-Jaghbub sono stati consegnati ai trafficanti libici della zona: qui diverse tribù e diversi gruppi paramilitari si spartiscono gli affari. Alcuni sono affiliati all’Esercito nazionale libico (LNA – Libyan national Army in inglese), la forza militare che domina la regione orientale della Libia, la Cirenaica. Dalla città berbera, i migranti sono stati in seguito portati verso nord, fino ad arrivare a Tobruk, dove avrebbero dovuto aspettare per poter prendere una nave che li avrebbe portati in Italia. 

L’economia sommersa dell’Esercito nazionale libico

L’Esercito nazionale libico è stato creato ufficialmente nel 2014 dal generale Khalifa Haftar alla vigilia della sua campagna denominata Karama (Dignità) contro i gruppi estremisti islamici presenti nell’est della Libia, principalmente a Benghazi. Dopo una serie di successi, i militari si sono guadagnati il supporto della popolazione e dell’esercito libico. Ma quando gli è stato chiesto di riconoscere il Governo di Accordo Nazionale (GNA in inglese) stanziato a Tripoli, Haftar ha negato l’appoggio, contribuendo a creare la divisione di oggi tra Est e Ovest. In questo modo Haftar ha avuto contro buona parte della comunità internazionale occidentale, ad eccezione in particolare della Francia, e non ha potuto accedere ai finanziamenti statali erogati dal governo dell’Ovest. 

In mancanza di un approvvigionamento economico legale, il LNA ha dovuto escogitare metodi meno convenzionali per riempire i forzieri. Uno degli esempi più evidenti è avvenuto proprio nella città di Benghazi, dove l’esercito è stato accusato dagli abitanti di aver saccheggiato o del tutto occupato le loro abitazioni e preso controllo delle loro attività durante il conflitto avvenuto dal 2014 al 2017: ancora oggi ci sono proteste per reclamare i beni sottratti. 

Insieme ai furti di proprietà, gli uomini del LNA si sono arricchiti attraverso traffici illeciti. Tra quelli maggiormente redditizi, prima di ottenere il controllo sulla tratta di esseri umani, c’è stato il traffico di petrolio. Già dall’inizio della campagna Karama uno dei maggiori finanziatori delle operazioni militari è stato Ali al-Gatrani, allora presidente della Commissione per il Commercio e gli Investimenti Internazionali del parlamento libico di base a Tobruk, coinvolto 

nella rete del traffico di petrolio che si dirama nel Mediterraneo e arriva fino in paesi come Italia e Malta. È infatti uno degli storici sostenitori degli uomini della Brigata al-Nasr, in particolare della mente del contrabbando di gasolio, Fahmi Slim Ben Khalifa (per approfondire). 

Una volta consolidata la posizione dell’esercito in territorio libico, il traffico si è espanso ed è diventato sistemico grazie all’aiuto dell’Autorità per gli Investimenti Militari e Pubblici, ente governativo che gestisce i soldi pubblici nella regione sotto il controllo di Haftar. Dai dati della NOC (acronimo di National Oil Company, la compagnia petrolifera libica) sono risultati carichi di carburante ordinati dall’Autorità e destinati a rifornire le navi militari a Benghazi e Tobruk in misura nettamente superiore rispetto alle necessità di navigazione delle imbarcazioni. Secondo diversi analisti, il petrolio in eccesso sarebbe spedito illegalmente dalle città costiere dell’est per arrivare fino a Malta, e non solo. Oltre ai collegamenti con i porti egiziani e ciprioti, negli ultimi due anni i traffici si sono estesi fino all’Albania: lo scorso 15 settembre la Guardia costiera albanese ha infatti sequestrato un carico dal valore di oltre 2 milioni di dollari trasportato da una nave attraccata al porto di Durazzo e avente equipaggio misto libico e siriano, come ha riportato la testata online Libya Review

La disponibilità di tanto petrolio è dovuta al controllo quasi egemonico della LNA sulle grandi riserve di giacimenti petroliferi che caratterizzano le zone a Nord-Est e Sud-Ovest del paese. Dai vasti campi nel deserto da cui si estrae il greggio viene l’80% degli export totali del paese verso l’Unione Europea, per un valore stimato intorno ai 3.2 miliardi di dollari. Sebbene le forniture per l’estero debbano per legge essere regolate dalla NOC, i militari di Haftar hanno in realtà un controllo diretto sui vari pozzi presenti e sulla gestione di parte dell’export. Il LNA fa affidamento sulle proprie truppe o su gruppi armati affiliati per gestire le risorse e per ricambiare la loro lealtà chiude un occhio sul traffico di petrolio che queste effettuano in maniera ormai costante. Il predominio sull’area dove si producono i prodotti petroliferi libici garantisce ad Haftar un’enorme potere: ad aprile di quest’anno infatti, Haftar ha avviato un blocco della fornitura di petrolio che è durato fino alla fine di giugno, causando perdite in termini di miliardi di dollari alla NOC e a Tripoli. Dopo la crisi, Haftar ha avuto diverse concessioni dal governo dell’Ovest, una su tutte il cambio dell’allora direttore della NOC, Mustafa Sanalla, in favore di Farhat Bengdara, persona vicina al generale libico. 

Diversi migranti tra i 287 che sono stati poi presi dalle autorità libiche nel capannone poco fuori la città hanno dichiarato ad Al Jazeera di aver pagato fino a 170mila lire egiziane, circa 8700 euro, per potersi procurare un posto per il viaggio.«La mia famiglia ha dovuto vendere i terreni che avevamo per farmi partire», dice un ragazzo ai giornalisti. Alcune famiglie hanno venduto i loro terreni e i loro beni per poter dare ai figli, anche minorenni, una possibilità per raggiungere le coste libiche, da cui poi partire per l’Europa. Nel tragitto sono stati derubati dei loro cellulari, soldi, beni in loro possesso e sono stati rinchiusi senza contatto con l’esterno. Non è raro che alcuni migranti vengano torturati, a volte fino alla morte. 

A destra, il Maggiore al-Tawati al-Manfi, a capo della Marina Militare della Libyan national Army (LNA) – Foto: Facebook

Nel capannone nella campagna di Tobruk non sono arrivati tutti insieme: c’è chi ha affermato di essere stato lì solo per qualche giorno e chi invece ha detto di esserci rimasto per mesi. Tutto questo fa pensare che ci sia un’organizzazione più grande di semplici trafficanti isolati che gestisce la tratta orientale della Libia. L’organizzazione non governativa specializzata in violazioni dei diritti umani Libyan Crimes Watch Organization, intervistata da IrpiMedia, ha rivelato che la zona che va da Tobruk no alla città di Derna (ad ovest rispetto a Tobruk) è controllata dagli “Uomini rana” libici, l’unità militare di sommozzatori appartenente alla Marina Militare Libica sotto la LNA guidata dal maggiore al-Tawati al-Man. Sarebbero proprio loro i trafficanti che stavano aspettando i migranti prima di essere presi dalla polizia locale. Gli Uomini rana infatti entrano in contatto con i trafficanti che percorrono la rotta fino a Tobruk e da lì prendono il controllo delle operazioni. I migranti egiziani sono stati lasciati nel deposito e man mano che passavano i giorni vedevano arrivare altri connazionali nel deposito. Una volta raggiunto un numero sufficiente da rappresentare un profitto vantaggioso per i trafficanti, il gruppo sarebbe dovuto essere spostato sulla costa durante la notte. Qui i migranti avrebbero avuto davanti a loro diverse barche di piccole dimensioni, solitamente di gomma o legno, che possono contenere tra le venti e le trenta persone. Scortati dalle truppe di al-Tawati, uomini e bambini sarebbero saliti sulle imbarcazioni che li avrebbero portati ad un’altra nave più grande, una “nave madre” (in Libia generalmente chiamata bulldozer) che aspetta lontano dalla costa (la nave è impossibilitata ad attraccare per via del basso fondale). La dinamica è identica a quella descritta dagli inquirenti italiani per le traversate del Mediterraneo cominciate dalle città dell’Ovest della Libia. Come sempre, le fasi di imbarco dalle navi più piccole alla nave madre sono tra le più delicate per il rischio di capovolgimenti: già ad aprile di quest’anno sono stati rinvenuti in una spiaggia nella vicina città di Shahat, a metà strada tra Tobruk e Benghazi, i corpi di chi aveva provato a imbarcarsi per i bulldozers, mentre l’ultima notizia in questo senso è del 27 agosto scorso, quando 27 persone imbarcatesi di notte con un gommone sono state capovolte dalle onde del mare, e di loro solo sette sono sopravvissuti. Una volta occupata tutta la nave, i migranti avrebbero visto gli Uomini rana prendere i soldi dai trafficanti locali, una percentuale per ogni persona salita a bordo, prima di essere lasciati andare in mare aperto e, inshallah, raggiungere l’Italia. 

Non si hanno informazioni precise sulle partenze ed è difficile stabilire se a bordo rimanga uno dei trafficanti per pilotare la nave. Secondo alcune testimonianze ottenute dalla Libya Crimes Watch Organization con i familiari delle vittime, i migranti sarebbero istruiti sul posto su come condurre l’imbarcazione e gli verrebbe dato un telefono con cui contattare le autorità internazionali per essere messi in salvo in caso di naufragio.

Dal 2021 si è visto un incremento nell’uso di barche da pesca in legno di dimensioni maggiori. Portare un carico più grande è un prerequisito fondamentale per aumentare i profitti che derivano dal traffico di esseri umani. Queste navi hanno una maggior stabilità e forniscono maggior possibilità di riuscita del viaggio in mare aperto rispetto alle piccole o medie imbarcazioni gonfiabili utilizzate dai migranti, soprattutto da chi viene dall’ovest libico. Grazie anche ai diversi canali social, i migranti si scambiano informazioni sui punti migliori da cui poter partire per raggiungere l’Italia e avere a disposizione mezzi adeguati è un fattore che pesa sulla scelta del posto in cui andare. Secondo il report del Global Initiative against Transnational Organised Crime (GITOC), nel 2021 si è registrato il doppio del numero di barche di legno rispetto al triennio 2018-2020. 

Da qui si inizia a capire il motivo dietro l’aumento delle partenze dall’est della Libia. In un momento delicato come la fine della guerra interna tra est e ovest della Libia finita nel 2020 che ha indebolito entrambe le fazioni, le forze del generale Haftar hanno trovato un nuovo sbocco economico capace di generare profitti per l’esercito e allo stesso tempo espandere ulteriormente il controllo militare sul territorio. Questo è stato reso possibile dall’Autorità per gli Investimenti Pubblici e Militari, un’organizzazione militare ora sotto il Generale Maggiore Ramadan Bu Aisha, il cui scopo principale è il coordinamento delle attività economiche della LNA e l’incremento delle sue capacità di produzione e militari. In pratica questo si traduce nella ricerca di altre fonti di guadagno e nel controllo di nuovi mercati non ancora battuti. 

Come funzionano gli ingressi dei migranti irregolari in Libia via aereo

A Benina, aeroporto di Benghazi, i militari dell’Autorità per gli Investimenti Pubblici e Militari sono attivi già dal 2018. Si presentavano all’aeroporto per prendere i migranti che provenivano da Egitto, Bangladesh e Siria e li facevano passare attraverso i controlli, generando a volte scontri con la sicurezza interna dell’aeroporto. Una volta fuori, gli uomini della Commissione consegnavano ai migranti, previa pagamento in contanti, un foglio che aveva la funzione di visto per far attraversare i confini della zona Est della Libia. Sicuri del loro stato regolare nel paese, i migranti si avviavano verso l’Ovest, direzione Tripoli, per trovare un modo di arrivare in Italia. Ma una volta fermati dalle autorità occidentali della Libia, gli veniva detto che questi visti non erano regolari perché ottenuti da un’autorità che non era riconosciuta dal governo di Tripoli. Con questo pretesto, i migranti venivano presi sotto la custodia delle unità di sicurezza, buona parte delle volte milizie o gruppi paramilitari, per poi essere portati nei centri di detenzione. Per evitare questa fine, che rendeva poco affidabile il percorso, dal 2019 l’Esercito ha cambiato strategia. Adesso, per chi arriva con una compagnia aerea, i militari forniscono un trasporto speciale, che chiamano taxi, e portano i migranti verso Tobruk, ora il centro di maggior concentrazione di migranti e di attività legate al traffico di persone. 

Una rotta particolarmente trafficata soprattutto dai migranti siriani è rappresentata dall’asse Damasco – Benina. Questa connessione è resa possibile dalla flotta aerea della Cham Wings, compagnia di volo di base in Siria e connessa con il regime di Bashar al-Assad. Già nel 2012 la compagnia aerea ha ricevuto sanzioni da parte degli Stati Uniti per l’accusa di essere complice nella logistica dell’esercito siriano durante la guerra scoppiata nel 2011. La compagnia era accusata di trasportare militari, armi e altri equipaggiamenti fondamentali all’esercito governativo, oltre che essere una delle vie di trasporto usate dal gruppo Wagner, milizia privata connessa con il Cremlino e tutt’ora presente in Libia. Alle sanzioni degli USA sono seguite quelle dell’Unione Europea a dicembre 2021, quando diversi voli sono finiti sotto i riflettori per aver portato migranti provenienti dall’Iraq a Minsk, in Bielorussia, di fatto aggirando i tentativi dell’UE di limitare il numero di migranti iracheni che arrivava alle porte d’Europa alla fine dello scorso anno. Sebbene l’Europa avesse pressato con successo il governo iracheno per fermare i voli diretti verso Minsk, il tragitto aveva solo subito una variazione, e invece di arrivare direttamente dall’Iraq, i migranti facevano tappa in Siria per poi partire alla volta della Bielorussia. Ad oggi, stando alle fonti dell’organizzazione Libya Crimes Watch Organization, la Cham Wings opererebbe voli diretti da Damasco a Benina, facilitando il traffico di persone dirette in Libia. I migranti siriani infatti si trovano a pagare circa 1500 dollari per arrivare a Benghazi, e da lì tra i 300 e i 500 dollari per avere un falso visto dalle truppe della Commissione per gli Investimenti Pubblici e Militari della Libia dell’Est che gli garantirebbe accesso al territorio nazionale. 

L’utilizzo dei soldi, delle attrezzature e dei mezzi dell’Esercito fedele ad Haftar per il traffico dei migranti permette di gestire gruppi più grandi di persone e di conseguenza aumentare i profitti. Il 26 ottobre è stato un caso esemplare del trend, con due grandi imbarcazioni segnalate dall’ong Alarm Phone alla deriva tra le zone di ricerca e soccorso maltesi e italiane con a bordo oltre 1300 migranti. Le due navi erano partite proprio da Tobruk, nella cui campagna erano stati trovati i 287 migranti egiziani. Questi numeri dall’est sono il risultato di un cambiamento avvenuto negli ultimi anni e che ha visto moltiplicare e professionalizzare i protagonisti attivi lungo la rotta. Come in un lungo ingranaggio di produzione in cui ogni operaio mette al servizio la sua competenza per completare un prodotto, così i vari attori coinvolti nella tratta mettono al servizio conoscenza del territorio, mezzi navali o terrestri per generare quello che per loro è un prodotto, una nave carica di persone, paganti, pronta a salpare. 

Migrare dal Bangladesh

I migranti che arrivano nell’Est della Libia non sono solo egiziani. Tanti sono bengalesi: «Il Bangladesh è uno dei paesi che maggiormente esportano forza lavoro nel mondo» afferma Benjamin Etzog, ricercatore presso il Bonn International Centre for Conflicts Studies (BICC), istituto di ricerca tedesco. «In qualche modo il paese ne ha fatto una strategia economica e molte famiglie basano la loro sussistenza sulle rimesse, i soldi che i migranti inviano da paesi esteri a casa» continua. 

Per lasciare il paese e garantirsi un lavoro una volta arrivati in territorio straniero, i migranti dal Bangladesh si affidano al dalal, termine che viene benevolmente tradotto come “agente di viaggio” o broker. Il dalal viene rappresentato come un facilitatore del viaggio che riesce a fornire documenti e biglietti aerei. È stimato che circa l’80% dei migranti dal Bangladesh si appoggiano al dalal, figura presente nel villaggio o nelle campagne e conosciuto dalla 

popolazione locale o, in certi casi, vicina alla famiglia del migrante. Il prezzo che viene proposto per il trasporto e i servizi offerti è talmente alto che la famiglia è costretta a vendere le proprie terre pur di dare una possibilità ai propri figli. Una delle prime tappe più battute sul percorso che li porterà poi in Libia è Dubai, dove, assicurano i dalal, si può trovare un buon lavoro per mantenere la famiglia che rimane a casa. In questo caso i dalal fanno le veci di compagnie di reclutamento fittizie basate negli Emirati il cui solo scopo è vendere illegalmente i visti lavorativi. Con la promessa di un lavoro, i migranti pagano fino a cinque volte il prezzo necessario per arrivare a Dubai e una volta arrivati si trovano in una posizione vulnerabile e facilmente sfruttabile, costretti a prendere i lavori più estenuanti per paghe misere. Sfruttati e di fatto in balia dei datori di lavoro locali, hanno davanti a sé una scelta: tornare indietro o proseguire verso un’altra meta che possa garantire condizioni di vita migliori. Ma una volta che si è partiti per garantire un futuro alla propria famiglia tornare indietro non è un’opzione. Si decide dunque di proseguire, e di tentare la fortuna in un altro posto. È così allora che dagli Emirati Arabi Uniti partono in aereo per arrivare in Libia. Questi spostamenti sono resi possibili dai collegamenti tra le varie agenzie di viaggio che gestiscono il business della tratta di esseri umani. «Queste agenzie sono un’evoluzione del dalal e tramite un sistema tra la legalità del volo e l’illegalità della corruzione e falsificazione di documenti, portano i migranti fino in Libia, a volte passando per la Turchia» dice Etzog. Il migrante paga in media 4000 euro, e gli viene assicurato il viaggio, il pernottamento e un posto di lavoro quando arriverà alla sua meta finale. 

Rispetto agli anni 2020 e 2021 in cui le città con il maggior numero di migranti provenienti dal Bangladesh erano nell’Ovest del paese, una su tutte Tripoli, nel 2022 Benghazi, nell’Est, è al primo posto con oltre 5600 persone presenti. I migranti bengalesi sono il gruppo con maggiori risorse a disposizione grazie ai legami familiari sparsi nel mondo e perciò conviene ai trafficanti mantenere attive le rotte migratorie e fornire i mezzi adeguati per il raggiungimento dell’obiettivo, così da fornire un’offerta costante alla sempre presente domanda. Se i migranti invece non possiedono abbastanza soldi da potersi garantire un posto sulle navi allora il tempo che dovranno restare in Libia aumenterà, con il conseguente aumento dei rischi a cui saranno sottoposti. 

Questo è stato il caso raccontato dalla BBC di alcuni migranti arrivati dal Bangladesh con la prospettiva di lavorare in una fabbrica di Benghazi per poter guadagnare circa 450 euro al mese e poter così inviare soldi alla famiglia. Persuasi e aiutati dai dalal, sono giunti all’inizio del 2020 nell’Est libico per poi essere immediatamente presi dai trafficanti e portati in prigione e alle famiglie è stato chiesto un riscatto. Chi non può pagare il riscatto rischia di subire ulteriori abusi e torture nei centri di detenzione e, nei casi più estremi, morire. Anche una volta pagato il riscatto il migrante non sempre viene liberato, e prima di poter andare viene trattenuto dai suoi sequestratori per lavorare forzatamente in una fabbrica o in uno stabilimento, con con razioni misere di cibo e controllato a vista da guardie armate. 

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