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Libia, la battaglia del Fezzan

Nel Nordafrica affamato, la regione meridionale libica potrebbe offrire cibo e lavoro. I progetti di cooperazione non mancano, ma nella regione c’è un clima teso
 

Autori: Antonella Mautone, Fabio Papetti

Editing: Lorenzo Bagnoli e Paolo Riva

Secondo le stime del World Food Programme, «almeno 44 milioni di persone, in 38 Paesi, sono sull’orlo della carestia» da quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022. I due Paesi sono infatti grandi esportatori di materie prime agricole. Africa e Medio Oriente sono le zone del mondo più affamate. Per evitare un peggioramento della crisi alimentare, nel maggio 2022 Russia, Ucraina e Nazioni Unite hanno cominciato ad aprire «corridoi di solidarietà» per consentire l’esportazione di cereali dai porti dell’Ucraina al resto del mondo. L’ufficializzazione della cosiddetta Black Sea Grain Initiative – l’iniziativa diplomatica guidata da Onu e Turchia che ha permesso l’esportazione di grano, farine e altri prodotti dai porti urcaini – risale al 22 luglio 2022 e si è conclusa il 17 luglio 2023, con la decisione del Cremlino di «sospendere» l’accordo. Sono incerte le possibili conseguenze di questa mossa sul mercato dei beni agricoli: c’è il rischio che i prezzi ricomincino a salire.  

Sul portale delle Nazioni Unite che tiene traccia degli effetti della Black Sea Grain Initiative, si legge che, durante il periodo in cui era in essere, sono state complessivamente esportate circa 32,8 milioni di tonnellate di mais (per il 51% del totale), grano (27%), farina di girasole (6%), olio di girasole (5%) e altri prodotti agricoli (11%). I principali Paesi di destinazione dei carichi sono Cina (8 milioni di tonnellate), Spagna (6 milioni), Turchia (3,2 milioni) e Italia (2,1 milioni).

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– La Libia è stata tra i Paesi destinatari dei carichi di prodotti agricoli sbloccati dalla Black Grain Initiative. L’alimentazione del Paese dipende dalle importazioni.

– Il Fezzan è la sterminata regione meridionale dove il governo di Tripoli vorrebbe spingere maggiormente sulla produzione agricola. È una zona attraversata da migranti, milizie, gruppi terroristici e tribù che abitano la regione: un crocevia tra Sahel e Mediterraneo.

– Diversi progetti di cooperazione, anche italiana, puntano a rafforzare l’agricoltura e impiegare migranti nei campi.

– A maggio 2023, diverse persone legate ad Ara Pacis, Ong italiana impegnata nella zona in un progetto agricolo, sono state fermate e poi rilasciate da una milizia libica per «appropriazione indebita». Avrebbero trasformato un centro agricolo in un centro per migranti. La milizia libica, ISA, è stata accusata di torture e arresti arbitrari. 

– Ara Pacis è particolarmente attiva a Sud della Libia in processi di pacificazione da quando Marco Minniti è diventato ministro dell’Interno, nel 2017. Le iniziative sono molte, sostenute da gruppi come Luiss, Eni e Terna, per quanto i risultati non siano molto chiari. 

– Dal 2019 a Sud si sono concentrati gli interessi anche di nuove milizie emergenti in Libia, come la Tariq Bin Ziyad (TBZ) guidata dal figlio del generale Haftar.

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Nella parte più bassa della classifica dei Paesi d’importazione del grano e degli altri prodotti si leggono i nomi di Paesi a rischio crisi alimentare, tra cui la Libia, che ha ricevuto dai porti ucraini circa 560 mila tonnellate di prodotti. Nel Paese nordafricano l’agricoltura rappresenta l’1,3% del PIL e solo il 12% dei suoi 15,4 milioni di ettari di superficie è coltivabile. Tanto è vero che la produzione agricola dipende circa per il 90% dalle importazioni di cereali. Secondo i dati forniti dalla Fao nel rapporto “Global Information and Early Warning System Country Brief” del 2022 «tra il 2016 e il 2020, il paese ha acquistato oltre il 30% delle sue importazioni di grano dall’Ucraina e il 20% dalla Federazione Russa». 

Il grano del Fezzan

Per limitare la dipendenza dall’estero, il Governo di Unità Nazionale di Tripoli sostiene l’urgenza di attivare partnership pubblico-private per aumentare la produzione agricola nazionale, ma secondo i dati della Fao degli oltre 470 mila ettari di terra irrigabile, «solo circa 240mila sono attualmente irrigati a causa delle preoccupazioni per l’esaurimento delle acque sotterranee». 

Alcune delle principali aree agricole della Libia si trovano nel Fezzan, regione di 550mila chilometri quadrati al confine con Ciad, Niger e Algeria. Negli anni è stata attraversata da migranti subsahariani diretti alle città costiere della Libia, milizie impegnate nella guerra civile, jihadisti e gruppi criminali, oltre che dalle tribù nomadi e stanziali che la abitano da sempre. Qui nel giugno 2023 l’Unione Europea ha avviato un programma di assistenza per 21 municipalità all’interno di Baladayati, progetto finanziato con 72,6 milioni di euro del Trust Fund for Africa lanciato per la prima volta nel 2018 per promuovere opportunità di sviluppo e di lavoro in diverse zone della Libia (3 milioni di persone i beneficiari indicati dagli estensori del progetto: UNICEF, il programma delle Nazioni Unite allo Sviluppo UNDP e AICS, l’agenzia italiana allo sviluppo). 

Sempre nel Fezzan l’AICS tra il 2021 e il 2023 ha realizzato EWA4E, un progetto da 300mila euro gestito insieme al Ciheam, il Centro Internazionale di Studi Agronomici Mediterranei Avanzati di Bari. L’iniziativa si propone di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione del Fezzan attraverso una migliore gestione delle risorse idriche ed elettriche e la realizzazione di un’analisi in grado di identificare gli ambiti e le filiere dell’agrifood che possano creare nuovi posti di lavoro nella regione. Il programma si concluderà nel  dicembre 2024 ed è stato finanziato con 5 milioni di euro provenienti dal Fondo Africa, istituito per la prima volta con la legge di bilancio per l’anno 2017, con uno stanziamento di 200 milioni di euro per «interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie». 

Il Ciheam nel Fezzan è anche impegnato sulle due fasi del programma “Enhancing Farming Employment of migrants in Fezzan”, Efef ed Efef Plus, insieme a un’altra ong italiana, Ara Pacis. Il progetto intende impiegare nel settore agricolo i migranti che attraversano la regione nel tentativo di raggiungere le coste libiche e da lì imbarcarsi verso l’Europa. 

Sebha, gli strani arresti dell’ISA

Il sito Africa Intelligence riporta che a maggio 2023 «diverse persone legate ad Ara Pacis» sono state fermate e rilasciate a Sebha, storica capitale del Fezzan, con l’accusa di «appropriazione indebita». Il fermo sarebbe stato condotto dall’Agenzia per la sicurezza interna (ISA), un sorta di corpo di polizia formato da civili che si occupa di «preservare l’entità dello Stato, proteggere la sua sicurezza politica, sociale ed economica e combattere il terrorismo, le devianze, i pericoli e le minacce che colpiscono i suoi valori religiosi e sociali e minano il suo status e le sue relazioni internazionali». Si divide in due entità separate, quella di Tripoli operante nell’Ovest e quella dell’Est sotto Tobruk.

L’ISA di Tripoli, responsabile del fermo di Sebha, formalmente collabora con i ministeri del governo della capitale riconosciuto dalle Nazioni Unite. In un video pubblicato su Facebook dalla forza di sicurezza, due delle persone legate ad Ara Pacis in stato di fermo, il cui volto è stato reso anonimo, spiegano in arabo di lavorare per l’organizzazione italiana, la cui missione, dicono, è formare migranti in ambito agricolo e comunicare con i giovani del Fezzan. I due sarebbero stati responsabili di redigere i contratti dei lavoratori agricoli, ma secondo l’accusa sarebbero tra coloro che hanno trasformato il centro agricolo locale in una struttura  irregolare di accoglienza per migranti. 

L’ISA è un’organizzazione quantomeno controversa. Nel report di marzo, la Missione d’inchiesta indipendente sulla Libia (Fact-Finding Mission on Libya, FFM) sostiene che tra i suoi compiti ci sia «limitare il diritto di associazione, di espressione e di credo per garantire l’obbedienza, consolidare valori e le sue regole e punire le critiche contro le autorità e la loro leadership». L’ISA, riportava nel 2022 l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, hanno in particolare colpito uomini «atei, secolarizzati, non-credenti e femministi» in quanto minacce «per i valori libici e musulmani». Tra gli ultimi arresti, lo scorso aprile, c’è anche un cittadino americano colpevole di «evangelizzazione», scrive il Libya Herald. Spesso l’organizzazione pubblica sui propri social video con le “confessioni” delle persone arrestate. Amensty International nel 2021 aveva già fatto un appello affinché il governo di Tripoli non riconoscesse la legittimità di ISA, tra le cui fila spuntano ex membri dell’intelligence dell’era Gheddafi e accuse di tortura. Non è però chiaro perché un’organizzazione del genere abbia deciso di colpire delle persone che lavorano con la cooperazione italiana. 

Molte iniziative ma risultati poco chiari

Ara Pacis Initiative nasce a Roma il 21 aprile 2010 ed è guidata da Maria Nicoletta Gaida, ex attrice che per anni si è occupata di dialogo interreligioso attraverso l’arte. La Libia è uno dei principali Paesi di intervento dell’Ong, la quale ha ottenuto la gestione di incontri di mediazione tra le tribù più importanti del Fezzan, i Tebu, i Tuareg e gli Awlad Souleiman. La presenza in Libia di Ara Pacis è cominciata nel 2012 con la Libyan Initiative, un progetto di mediazione culturale cominciato nel pieno della guerra civile. Le attività nel Paese, in particolar modo nel Sud, sono diventate di maggiore rilievo da quando Marco Minniti è diventato Ministro dell’Interno del governo guidato da Paolo Gentiloni, nel 2017. Con Minniti, Gaida condivide l’interesse per il “Mediterraneo allargato”, area geopolitica che si espande fino al Sahel, verso la quale l’ex ministro dell’Interno, oggi presidente della Fondazione Med’Or di Leonardo, ha concentrato i suoi sforzi, allo scopo di garantire maggiore sicurezza in Italia. Minniti, il ministro che il 2 febbraio 2017 ha firmato il Memorandum of Understanding Italia-Libia, ha sempre pensato che l’Italia potesse avere un ruolo nella stabilizzazione della Libia e del Sahel e per questo ha sempre cercato di mantenere una presenza italiana nel Paese. E a questo scopo Ara Pacis ha dato avvio a diverse iniziative di dialogo: dal Sahara Triangle agli Accordi di buone intenzioni firmate dalle tribù nel 2019. Grazie al sostegno di università Luiss Guido Carli, Eni, Sky TG24, Terna s.p.a. e Coldiretti, nell’aprile 2021 ha lanciato il Pax Humana Hub, diventato fondazione l’anno seguente. Al di là degli obiettivi ideali di pace e dialogo, dal sito non è evidente la distinzione tra le diverse iniziative e quali siano i risultati concreti ottenuti dai progetti di Ara Pacis. L’associazione di Maria Nicoletta Gaida non ha risposto alle domande di IrpiMedia in merito. Di certo il Sud è ancora un’area contesa, molto lontana dalla pacificazione. 

Le bande armate che si contendono il Sud

«Il contesto libico in generale, e quello del Sud non fa eccezione, è caratterizzato da una moltitudine di gruppi etnici e milizie i cui confini e alleanze non sono semplici da decifrare», dice Tim Eaton del Chatham House Institute. Oltre alle bande Tebu, Tuareg e degli Awlad Suleiman, nel 2019 altri due gruppi hanno conquistato il loro posto nello scacchiere del Sud: le brigate Zintan e Tariq Bin Ziyad (TBZ). Provengono dalla Cirenaica, la regione dell’Est sotto l’influenza dell’Esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar. I miliziani si sono infiltrati in varie attività, legali e illegali, così da poter garantire anche il proprio finanziamento. La TBZ, in particolare, si è distinta per il livello di espansione che è riuscita ad avere, in parte dovuta al potere e all’ambizione di Saddam Haftar, figlio di Khalifa e capo della brigata. Il gruppo attualmente è attivo nel Sud della Libia nella duplice attività di controllo dei confini desertici, dall’Algeria al Sudan, al traffico di migranti, che conduce anche verso Bengasi e Tobruk, da cui poi le unità locali della TBZ fanno da tramite con i trafficanti. A questo si affianca il traffico di oro, componenti elettriche e macchine che avviene soprattutto tra Libia e Ciad. «La TBZ ha stabilito postazioni militari nelle principali città del Sud come Ghat e Sabha, più per espandere le proprie attività che per avere un controllo politico delle aree abitate», afferma un portavoce di Libyan crimes watch (LCW). Segno forse della sfrontatezza del figlio di Haftar a cui interessa più trarre profitto dalle attività illegali piuttosto che cercare un riconoscimento nelle aree in cui si opera.

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