Lo sterminato confine meridionale della Libia sarà la nuova barriera dove fermare i migranti diretti verso la Sicilia. Radiografia dei contrabbandieri e traffici del deserto.
Di Antonella Mautone e Fabio Papetti (IrpiMedia)
Editing Paolo Riva (IrpiMedia)
Si è tornati a parlare di migrazione. Gli ultimi naufragi, sulle coste della Calabria e al largo della Libia, hanno riportato il tema al centro del dibattito mediatico e politico. L’argomento è stato affrontato anche dai leader europei riuniti a Bruxelles per il Consiglio Europeo. Proprio in vista del vertice, la presidente della Commissione UE Ursula Von der Leyen ha scritto ai leader dei 27 Stati europei e ha annunciato che, «data la crescente pressione migratoria, la Commissione è pronta a mobilitare altri 110 milioni di euro nel 2023 per progetti in Nord Africa, oltre ai 208 milioni di euro già impegnati per sostenere il rimpatrio volontario, la cooperazione anti-tratta, l’equipaggiamento e l’addestramento». Leggendo queste righe viene subito da pensare alla Guardia costiera libica e, infatti, Von der Leyen cita «la consegna di imbarcazioni alla Libia».
Quello marittimo, però, non è l’unico confine della Libia ad essere strategico per la gestione dei flussi migratori. Anche la frontiera terrestre meridionale è un luogo cruciale. Ma estremamente complesso.
«È impossibile pensare che i militari possano controllare i quasi 2mila km di confine tra Libia e Ciad o Niger e Libia. Neanche un esercito ben equipaggiato potrebbe farcela», sostiene una fonte che da anni lavora nel contesto libico e ha visitato anche il sud del Paese. «Alle frontiere non c’è nulla, non c’è acqua, non c’è elettricità. Come si fa a pensare di poter vivere per un mese lì? È un territorio che si può monitorare solo con i droni, non costringendo qualcuno a vivere nel deserto. È pericolosissimo e pensare di mandare degli esseri umani ad una frontiera tanto ‘ostile’ dal punto di vista climatico non è un problema di poco conto», prosegue.
Un luogo di traffici
La frontiera sud della Libia è una lunga porzione di territorio prevalentemente desertico che si snoda lungo due regioni: a occidente, al confine con Algeria, Niger e Ciad, quella del Fezzan; a oriente, al confine con Sudan e Ciad, la Cirenaica, nella sua parte meridionale.
La zona, che prima di diventare parte della Repubblica araba di Libia di Mu’ammar Gheddafi è stata colonizzata da italiani e inglesi, è ricca di giacimenti di petrolio e oro ed è attraversata da traffici di esseri umani, droghe, prodotti petroliferi e rottami. A gestirli sono soprattutto le milizie armate che negli anni sono state integrate sotto la LNA, l’esercito del generale Haftar che controlla le zone est e sud del Paese. Grazie all’appoggio di Haftar, queste milizie hanno ottenuto riconoscimento ufficiale e autorità, mentre la LNA ha potuto beneficiare di un controllo più pervasivo sul territorio e delle entrate provenienti dagli stessi traffici illegali.
Nel sud della Libia, i traffici di esseri umani si sviluppano intorno a due centri principali: Sebha e al-Kufrah. Nella prima città, che si trova nel sud ovest del Paese, passano migranti e trafficanti provenienti soprattutto da Niger e Algeria. Nella seconda, collocata a sud est, quelli che arrivano da Ciad e Sudan. Entrambi gli snodi sono presidiati sia da istituzioni ufficiali libiche, come il Direttorato per il contrasto all’immigrazione illegale (DCIM), sia da gruppi locali di milizie che fanno capo ai signori della guerra regionali.
Sebha e al-Kufrah, centri strategici
A ovest, i traffici sono gestiti principalmente da gruppi Tebu e Tuareg che, dal confine col Niger, si muovono verso la città libica di frontiera di Ghat, per poi risalire verso Ubari ed arrivare a Sebha. Qui, da quando nel 2019 la LNA di Haftar ha preso il controllo del territorio, la tribù Awlad Suleiman, affiliata proprio all’esercito di Haftar, ha il controllo sui centri dove i migranti sono tenuti in condizioni disumane in attesa di essere trasferiti.

Mappa: IrpiMedia
Sul fronte orientale, invece, i trafficanti libici prendono i migranti sul confine col Sudan dai trafficanti sudanesi e li portano nei centri informali di al-Kufrah, situati soprattutto nella zona industriale della città. In questa zona, il gruppo etnico degli Zway, e in particolare la brigata Subul al-Salam, alleata di Haftar, rappresentano gli attori principali del traffico di esseri umani. Ne beneficiano economicamente vendendo i migranti ad altri centri di detenzione o chiedendo dei riscatti ai parenti dei migranti tenuti illegalmente reclusi.
Complessivamente, si tratta di un giro d’affari importante per l’economia della regione che, di fatto, rischia di porsi in competizione con le attività di controllo dei confini. Le guardie di frontiera libiche, infatti, proprio come accade per i cosiddetti guardiacoste, spesso hanno una doppia appartenenza: il corpo militare ufficiale, da un lato e una milizia privata, dall’altro.
«Nel 2012 – riprende la fonte con esperienza sul territorio – mi è capitato di incontrare alcune milizie libiche ad Agadez e mi hanno chiesto perché mai dovrebbero arruolarsi nella Border Security visto che se entrassero nel Ministero della difesa o in quello dell’Interno verrebbero pagati 440 euro al mese, mentre operando il controllo delle frontiere come miliziani possono guadagnare anche mille dollari al giorno».
E l’Europa?
Il sud della Libia, quindi, è un territorio ampio, inospitale e attraversato da lucrosi traffici.
Garantire che il confine che lo delimita sia chiuso o, almeno, presidiato per fermare i flussi migratori irregolari è estremamente complesso, sia per le autorità libiche, sia per l’Unione Europea che le sostiene per esternalizzare sempre più le sue frontiere. Una fonte che ha lavorato per le missione europea sul territorio ha spiegato a IrpiMedia che fino allo scorso anno solo i confini della Libia con Tunisia, Algeria ed Egitto erano presidiati dalle autorità, mentre quelli con Niger, Ciad e Sudan avevano una presenza dello Stato «molto limitata».
L’UE tenta di migliorare il controllo di questo confine in vari modi. Uno di questi passa per Eubam, l’EU Border Assistance Mission in Libya, una missione civile che aiuta il pattugliamento delle frontiere e presta assistenza alle autorità libiche per fermare il terrorismo e le organizzazioni criminali che prosperano attraverso la tratta di esseri umani.
L’Italia contribuisce alla missione con fino a tre membri della Polizia di Stato, un ufficiale superiore della Guardia di finanza (non nel 2021) e un magistrato che deve assicurare l’applicazione della legge e della giustizia penale nella lotta alla criminalità.
Eubam, costituita nel 2013, opera in tutta la Libia, ma a causa del clima di insicurezza presente nel sud del paese, non ha una presenza stabile in questa parte di territorio. L’obiettivo è addestrare il personale altrove e poi collocarlo nei posti di frontiera gradualmente, partendo dai settori che sono già sotto il controllo statale, ma anche puntare sulla tecnologia satellitare per avere un miglior controllo della regione anche a distanza.
Cooperare, cooperare, cooperare
Un altro attore europeo che dovrebbe contribuire a migliorare la situazione nel sud della Libia è l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e cioè Frontex. Un documento del Consiglio dell’Unione Europea dello scorso gennaio, pubblicato da Statewatch, chiede di «negoziare e concludere rapidamente l’accordo di lavoro tra Frontex e la Missione dell’UE di assistenza alle frontiere in Libia – Eubam» e auspica maggiore “coordinamento” tra gli attori Ue presenti in Libia (tra cui la stessa Frontex), anche per «sostenere i controlli alle frontiere meridionali, in particolare in relazione al Niger e al Ciad».
Non solo. Il documento, il cui obiettivo è rendere operativo il Piano d’azione per il Mediterraneo centrale presentato a fine 2022, parla di «adottare e avviare l’attuazione di nuove azioni regionali nel settore della lotta al contrabbando e al traffico di esseri umani in Nord Africa, per un pacchetto totale di 46 milioni di euro nell’ambito dell’NDICI (Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale, ndr)».
La Libia è, ovviamente, tra gli Stati coinvolti, anche se i fondi destinati al Paese non sono ancora precisati dal documento. Vi si legge però la volontà di «incoraggiare e sostenere una maggiore cooperazione regionale tra la Libia e altri Paesi del Nord Africa e dell’Africa subsahariana, al fine di affrontare in modo più efficace la lotta al traffico e alla tratta di esseri umani». Un passo in questa direzione era già stato fatto lo scorso anno.
Roma comanda?
Il 22 e 23 novembre 2022, a Tunisi si è tenuta una conferenza regionale sulla cooperazione transfrontaliera tra Libia e Paesi del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger. A organizzarla è stata proprio la missione Eubam Libia, guidata dall’italiana Natalina Cea, in collaborazione, tra gli altri, con il rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel, l’italiana Emanuela Del Re.
Cea, in un’intervista ha spiegato che i rappresentanti dei sei paesi interessati si sono incontrati «per la prima volta dopo un decennio durante il quale tutti i Paesi hanno visto sul proprio territorio crescere terrorismo, violenze e traffici illegali». «Per combattere le illegalità transfrontaliere, incluso il traffico di esseri umani, ci vuole un approccio strategico e complessivo, che prenda in considerazione non solo la situazione a nord del Mediterraneo ma anche e soprattutto la situazione del Sud della Libia», ha dichiarato sempre Cea all’Ansa. «In questa ottica – ha concluso-, la cooperazione Libia-Sahel è fondamentale».
A tal proposito, lo scorso dicembre, Agenzia Nova aveva riportato indiscrezioni secondo le quali l’Italia avrebbe potuto ospitare a Roma «una struttura di coordinamento Libia-Sahel, con sede a Roma e il coinvolgimento diretto dell’Unione Europea, per combattere il traffico di esseri umani, il terrorismo e la criminalità organizzata in sinergia tra le due sponde del Mediterraneo». L’agenzia ipotizzava un nuovo summit a Roma ad inizio 2023, ma al momento non sembrano esserci stati sviluppi pubblici significativi.
Sull’importanza del Sahel, però, concorda anche chi in Libia ci ha lavorato. «Il Sahel è uno dei maggiori luoghi di partenza dei migranti, insieme al Sudan e alla Somalia», sostiene la nostra fonte. «Mettere militari alla frontiera non basterà a fermarli: questo e altri problemi che nascono dalla mancanza di governance politica economica e sociale devono essere risolti nei paesi di provenienza. La Libia, dobbiamo accettarlo, ha delle frontiere illimitate», conclude.