Il colpo di stato nel paese del Sahel potrebbe influire sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea, che aveva fatto di Niamey un suo stretto alleato.
Autori: Antonella Mautone e Fabio Papetti (IrpiMedia)
Editing: Paolo Riva (IrpiMedia)
Il generale golpista Abdourahamane Tiani parla alla tv di stato nigerina – Fermo immagine da Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=yB4t1F8F3yo)
- Il colpo di stato del 26 luglio in Niger ha destabilizzato uno dei più fidati partner dell’Unione Europea nel Sahel, soprattutto in materia di contrasto alle migrazioni.
- La gran parte dei flussi di migranti che passano per la Libia e arrivano in Italia per la rotta del Mediterraneo centrale, transita per il Niger.
- Dal 2015, sono state avviate politiche per limitare i movimenti di queste persone, ma ora il golpe mette tutto in discussione.
- Alcuni osservatori dicono che i controlli delle forze dell’ordine nigerine sono diminuiti, altri che l’insicurezza dei migranti è cresciuta. E l’instabilità potrebbe anche allargarsi al sud della Libia.
- Intanto l’Ue ha fatto un primo passo verso possibili sanzioni contro i golpisti, ma sa di aver ancora bisogno di quello che negli ultimi anni era stato definito «il laboratorio europeo delle migrazioni».
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A inizio luglio, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell ha visitato il Niger, definendo lo Stato africano «un partner solido e affidabile sia dal punto di vista politico che da quello della sicurezza».
Lo scorso 23 ottobre, lo stesso Borrell ha annunciato di aver istituito un quadro giuridico europeo grazie al quale « l’UE sarà in grado di sanzionare le persone e le entità responsabili di azioni che minacciano la pace, la stabilità e la sicurezza del Niger».
In meno di quattro mesi, tutto è cambiato.
Il colpo di Stato
Il 26 luglio un colpo di Stato, l’ennesimo nella regione del Sahel, ha deposto il presidente nigerino Mohamed Bazoum. Da allora, l’UE sta cercando di capire come evolverà il suo rapporto con il paese che, da alcuni anni ormai, è diventato «il laboratorio europeo delle migrazioni».
Un documento del Consiglio dell’UE di inizio settembre ha indicato come rischio quello di «una strumentalizzazione della migrazione – anche se al momento non ci sono prove in tal senso» o quello «di un arresto della cooperazione in materia di migrazione e gestione delle frontiere con l’UE».
Dal Niger, spiega ancora il testo, transiterebbe l’85% dei migranti subsahariani diretti in Europa sulla rotta del Mediterraneo centrale, passando per la città nigerina di Agadez e poi arrivando in Libia attraverso o i centri di Dirkou e Seguidine (sempre in Niger) o passando per l’Algeria. E, infatti, l’Unione Europea sostiene economicamente il Paese, con 503 milioni di euro di donazioni previste per il periodo 2021-2024.
La deposizione di Barzoum e la presa del potere da parte dei militari del Conseil national pour la sauvegarde de la patrie (CNSP), con le sue posizioni fortemente antifrancesi, come cambieranno la situazione? Che conseguenze ci saranno per le politiche di esternalizzazione delle frontiere Ue nell’area? E per le persone in movimento?
Migranti in transito
«In Niger esiste una pluralità di movimenti migratori, che interagiscono in maniera anche molto differente con i territori e il tessuto sociale», hanno spiegato in un’intervista Silvia Pitzalis e Fabio De Blasis, assegnisti di ricerca all’Università di Urbino e co-autori, insieme a Fabio Amato, del libro Il Niger e la sfida delle migrazioni internazionali.
«Persino in questo Paese, che è uno dei più poveri al mondo, esistono dei flussi in entrata per lavoro, migrazioni circolari da Paesi limitrofi ed esistono certamente migrazioni di transito, di “avventurieri”, come si definiscono i migranti che abbiamo incontrato e intervistato, verso l’Algeria, la Libia, ed eventualmente l’Europa. Esistono anche le migrazioni forzate: quelle compiute da persone in fuga da Paesi limitrofi, da conflitti di matrice jihadista; i respingimenti che avvengono dalla Libia, e in particolare negli ultimi anni dall’Algeria. È soprattutto su questi ultimi flussi, ovvero di transito e di migrazioni forzate, che si sono concentrati gli sforzi dell’UE, in partnership con il governo nigerino, per il controllo della migrazione», spiegano i ricercatori.
Le pressioni europee hanno portato, in particolare, all’approvazione da parte dell’esecutivo di Niamey di una norma contro il traffico di migranti, la legge 36 del 2015. Il provvedimento ha avuto un forte impatto sulle comunità di frontiera che traevano sostegno economico dalle attività legate ai flussi. Inoltre, ha limitato il numero delle persone in transito e, in parte, ha reso le rotte più nascoste e pericolose.
E migranti di ritorno
Per quanto riguarda i flussi di ritorno, invece, una data chiave è il 2017, quando un’iniziativa congiunta tra UE e Oim ha aperto in Niger dei centri per i migranti respinti nel deserto dai paesi confinanti. Alcuni migranti provengono dalla Libia, soprattutto da quando, a fine 2021, le forze legate al genarale Haftar hanno avviato una serie di operazioni contro il traffico di esseri umani tra la città libica di Sebha e il confine nigerino.
Altri migranti, la maggior parte, arrivano invece dall’Algeria che, nel solo 2022, ha espulso almeno 14.680 cittadini di Paesi terzi e 19.705 i migranti nigerini. Queste persone, dopo essere vittime delle violente retate della polizia nelle città algerine, vengono abbandonate nel deserto e costretti a camminare per diversi chilometri fino al confine col Niger, dove vengono accolti nel centro di permanenza temporaneo dell’OIM, nel villaggio di Assamaka.
Ora, il centro di Assamaka è sovraffollato e in pessime condizioni. E lo sono anche quelli di Arlit e Agadez, dove i migranti di nazionalità terze passano prima di essere rimpatriati volontariamente. Il colpo di stato, infatti, ha portato a una chiusura parziale dei confini del paese e quindi ha reso le operazioni di rimpatrio impossibili o, per lo meno, molto più complesse e lunghe.
Si tratta di una prima e ben visibile conseguenza del golpe in ambito migratorio.
Non è l’unica, ma le altre sono meno definite.
Le conseguenze del golpe
«Le persone in movimento si sentono isolate», spiega Chehou Azizou, fondatore di Ong Jeunesse Nigérienne au Service du Développement Durable, un’Ong che collabora con Alarm phone Sahara per salvare la vita dei migranti in difficoltà nel deserto. «Non possono andare avanti per raggiungere le loro destinazioni, né tornare nei loro Paesi d’origine a causa della chiusura delle frontiere di alcuni vicini del Niger», spiega.
«L’insicurezza dei migranti nel paese – concorda un osservatore italiano rimasto a Niamey fino ad agosto – è cresciuta». Le cause, a suo parere, sarebbero le sanzioni imposte dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ai golpisti e il venir meno dei dispositivi militari di alcuni paesi europei, come innanzitutto la Francia. Per l’osservatore, inoltre, sarebbe cresciuta la migrazione verso l’Algeria, coinvolgendo in particolare la città di Assamaka.
Azizou, invece, nota come sulla rotta che porta alla Libia meridionale, dopo il golpe, i flussi siano «un po’ rallentati, ma non fermati: ci sono nuove ondate che partono da luoghi diversi alla scoperta di nuovi itinerari».
«Credo che, dopo il colpo di Stato, la parte di popolazone che guadagna del traffico di esseri umani speri che le nuove autorità modifichino la legge anti-smuggling del 2015», ragiona una persona esperta di traffici nel Sahel che preferisce restare anonima.
«Sembra esserci una diminuzione della pressione delle forze dell’ordine sulla tratta di esseri umani. In pratica i controlli di sicurezza sono diminuiti. Soprattutto ad Agadez, dove i migranti che transitano per andare in Libia sono pochissimi, circa 50 o 60 a settimana», aggiunge, riferendosi alla fine di settembre.
A tal proposito, il documento del Consiglio dell’UE di inizio settembre spiega come le attività dell’Anti-Smuggling Operational Partnership in Niger «continuino a progredire». Però, continua il testo, «per quanto riguarda la squadra investigativa comune, gli agenti di polizia di Francia e Spagna sono stati evacuati (fuori dal Niger, ndr) all’inizio di agosto, ma la squadra rimane operativa e lavora da casa. È stato chiesto loro di sospendere le attività e di occuparsi solo delle questioni quotidiane».
«Penso – riprende la persona esperta del tema – che se ci sarà un aumento del trasporto di migranti dal Niger alla Libia, questa sarà probabilmente un’altra opportunità per gli altri gruppi del sud della Libia, come i Tebu, di dimostrare il loro ruolo nelle operazioni di contrabbando». Il punto è cruciale. Le conseguenze del golpe, in un’area instabile e dai confini porosi, potrebbero farsi sentire anche nei paesi che confinano col Niger, in particolare in Libia.
Tebu e Tuareg
La presenza di interessi economici importanti, come quelli legati al traffico di persone, armi e droga, potrebbe far degenerare la situazione nella zona tra nord del Niger e sud della Libia, secondo Wolfgang Pusztai, analista e membro del consiglio direttivo del National Council on U.S. Libya Relations.
«Se le cose dovessero peggiorare in Niger non è da escludere un intervento militare da parte delle forze armate libiche, in particolare dei Tuareg, visto che hanno sia il controllo di parte dei traffici sia una buona influenza nel nord del Niger e nel sud della Libia», spiega.
I Tuareg, secondo Pusztai, sono uno dei due gruppi che, nel sud della Libia, sono più numerosi e più coinvolti nei traffici lungo la frontiera meridionale. L’altro gruppo è quello dei Tebu.
I Tebu, originari delle montagne del Tibesti nel nord del Ciad, risiedono tra quest’ultimo e la Libia sud-orientale. i Tuareg, invece, sono collocati nell’estremo ovest del Fezzan e hanno una presenza sparsa anche tra Algeria, Mali e Niger, dove si sono insediati dopo aver combattuto per Gheddafi.
È proprio dalla crisi libica del 2011 che i due gruppi sono entrati in contrasto: i Tebu si sono schierati con i rivoluzionari, mentre i Tuareg sono rimasti fedeli a Gheddafi. Per Pusztai, l’evoluzione del golpe in Niger potrebbe rinvigorire queste tensioni.
«Il deposto presidente Bazoum ha origini arabe, appartenendo alla tribù degli Awlad Suleiman. Se dovesse essere ucciso o ci fossero delle rappresaglie contro la minoranza araba le cose potrebbero mettersi male», dice l’analista.
Per ora, poiché il presidente deposto è ancora detenuto nel palazzo presidenziale di Niamey dai golpisti, si tratta solo di un’ipotesi. Ma, conclude Pusztai, «è un’ipotesi molto temuta dalla popolazione della Libia del sud: hanno paura che una rapida escalation trasformi di nuovo la loro terra in una zona di conflitto».